I nostri prodotti tipici necessitano di regole e
disciplinari di produzione
Negli ultimi anni l’agenda politica locale è stata
riempita di dibattiti, dichiarazioni ed eventi legati alla valorizzazione dei nostri
prodotti naturali. Non c’è paese molisano che rivendichi un’eccellenza in
questo campo, non c’è amministratore attento che non declami le virtù del
prodotto tipico o dell’enogastronomia locale, spesso dovuto alla sapienza e
alla laboriosità di società e cooperative che, tra mille sforzi, cercano quote
di mercato nella distribuzione italiana ed internazionale, spesso senza avere
alle spalle uffici e competenze commerciali. E’ un dato di fatto, comunque, che
dopo la battaglia persa sul marchio Montepulciano d’Abruzzo con i cugini
abruzzesi, inspiegabilmente, non si è voluto proseguire sulla strada della
valorizzazione, della denominazione e dei disciplinari per la coltivazione,
preparazione e commercializzazione dei prodotti “made in Molise”. Se per i prodotti
caseari continua ad esistere il problema irrisolto dell’utilizzo di materie
prive provenienti da realtà extranazionali, così come per la pasta, per molti
resta un mistero come una società di Foligno possa produrre e commercializzare
senza problemi “La cicerchia del Molise”, legume dalle molteplici particolarità
nutritive e riconosciuto dal mondo vegetariano e vegano, come prodotto
proveniente dal Molise. L’azienda in questione è la Fertitecnica Colfiorito,
con sede legale e stabilimento a Colfiorito di Foligno, in provincia di
Perugia: insieme alle cicerchie del Molise commercializza molto altri prodotti
come i Fagioli Vellutina della Sicilia, i Fagioli Saluggia del Piemonte o l’Orzo
Perlato dell’Alto Lazio.
Ancor più emblematico, restando nel campo della cicerchia
del Molise è il caso della società Terre d’Italia che, oltre a distribuire il
prodotto tramite internet, commercializza in esclusiva “La cicerchia del
Molise” anche sui banchi della grande distribuzione grazie a Carrefour. Il
legume è l’unico prodotto proveniente dal Molise nell’ampia scelta di prodotti
e specialità regionali presenti nel catalogo. Ovviamente non siamo in grado di
sapere se il prodotto commercializzato proviene dai nostri agricoltori o
proviene da altre realtà italiane o addirittura estere. Anche se così fosse, resta
l’amaro in bocca per come spesso vengano decantate le particolarità della
nostra regione senza che però si arrivi alla loro piena valorizzazione
attraverso la capitalizzazione di un settore che altrove produce reddito e
lavoro. Un settore che può ridare senso alle nostre campagne sempre più
abbandonate ma che ha bisogno di investimenti sulla commercializzazione e sul
marketing, oltre che di volontà politica circa la redazione di disciplinari e
di regole stringenti che qualifichino e rendano davvero uniche le nostre
tipicità. Altrimenti permetteremo ai furbi di continuare a saccheggiare il nome
della nostra regione e noi a restare eternamente immobili con la nostra sveglia
al collo.