martedì 30 aprile 2013

La Media War siriana e la sicurezza dei giornalisti: l’esperienza di Amedeo Ricucci e la realtà di Domenico Quirico

L’esperienza del giornalismo di guerra è stata al centro di due panel programmati all’interno dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Le narrazioni condotte dalla freelance Susan Dabbous e dal giornalista Rai Amedeo Ricucci, recentemente rapiti da un gruppo radicale islamico in Siria sono state confrontate nell’ambito delle azioni condotte dall’International News Safety Institute (Insi), organizzazione che da dieci anni promuove le migliori pratiche di sicurezza per i giornalisti impegnati sulla front line, offrendo formazione e spesso anche pressione sui governi affinché supportino il giornalismo indipendente. Insieme a loro il decano del giornalismo di guerra Paul Wood (BBC News), Ruth Sherlock (The Daily Telegraph) e Richard Sambroock, direttore executive board dell’Insi per affrontare il tema della sicurezza dei giornalisti impegnati sul fronte e discutere sull’effettiva veridicità delle fonti quando è in gioco la propaganda delle fazioni in un quadro di guerra. Nel corso del dibattito è stato forte il richiamo di Amedeo Ricucci circa il tema della sicurezza, soprattutto per quanto riguarda i giornalisti freelance che, a fronte di tanto entusiasmo restano spesso vittime dei conflitti o subiscono violenze, sequestri e furto delle attrezzature. “Mi contattano spesso – ha detto Ricucci – giovani freelance italiani che vogliono sapere notizie o informazioni circa le zone migliori da seguire, quali strade percorrere, quali mezzi per entrare in Siria. La prima domanda che gli faccio è se sono muniti di giubbotto antiproiettile e casco protettivo. Queste sono le prime cose da portarsi dietro se si intende stare sulle varie front line.” Differente anche il panorama delle assicurazioni. “Io come giornalista Rai – ha proseguito Ricucci - sono protetto da diversi tipi di assicurazioni sia personali che sulle attrezzature che porto dietro. Quando ci hanno rapito ci hanno sequestrato tutto: io ho perso oltre 30 mila euro di attrezzature ma era materiale Rai assicurato. Per gli altri che erano con me invece la cosa è stata diversa perché hanno perso tutto in un solo colpo”.  Completamente differente approccio della BBC nelle zone di conflitto: la storica società britannica si avvale di personale di sicurezza armato per scortare i corrispondenti in zone di guerra e le loro azioni nei villaggi, ad esempio, non vanno oltre i quindici minuti. “Abbiamo valutato attraverso l’esperienza – ha riferito Paul Wood – che quindici minuti siano validi per riprese sicure e impediscono l’organizzazione di un sequestro lampo, ad esempio. “ Determinante, inoltre, sempre nel campo della sicurezza conoscere la geografia dei luoghi da visitare, le culture locali, le lingue, le strade di accesso e le vie di fuga. Parole di elogio sono venute proprio da Ricucci nei confronti della sua collega italo siriana Susan Dabbous: “Susan è stata molto brava anche non essendo una corrispondente di guerra perché nel corso dell’azione del sequestro e nei giorni di prigionia ha saputo trattare con i nostri rapitori. Le hanno trovato nello zaino un pacchetto di sigarette e lei ha negato che fossero sue. Oltre ai vari divieti imposti dal codice coranico, infatti, i nostri rapitori erano anche contro il fumo, nonostante nei paesi islamici fumino tutti, sia maschi che femmine. Inoltre ha chiesto di essere separata dal nostro gruppo tutto al maschile durante la prigionia, un fatto che le è valso il rispetto dei fondamentalisti, oltre al fatto di parlargli senza guardare nei loro occhi. Una serie di accorgimenti che hanno evitato, probabilmente, azioni violente da parte dei nostri rapitori.”

l tema delle immagini e delle fonti, soprattutto nel contesto siriano, hanno avuto risalto in un altro panel che ha visto gli stessi ospiti. La facilità nel trasmettere fotografie e video dalle zone di guerra attraverso le nuove piattaforme digitali, fanno del conflitto in corso in Siria un esempio nuovo ed emblematico della nuova media war.  Con un semplice telefono cellulare è possibile riprendere e spedire dopo pochi minuti immagini che possono essere manipolate dalle parti in causa. Quale credibilità ed autorevolezza, dunque, hanno le immagini riprese da attivisti di fazioni spesso confuse e sconosciute nel conflitto siriano? Siamo di fronte ad una media war, dunque, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Le azioni di propaganda dei mercenari salafiti che stanno violentando quel paese sono spesso filmate con sadismo da parte degli stessi guerriglieri che filmano esecuzioni, sgozzamenti e decapitazioni che vengono poi trasmesse dai canali telematici fino a giungere con facilità addirittura in social come Facebook o Twitter. Una sorta di macabra prova da mostrare per ricevere armi e denaro da parte di principi e uomini d’affare arabi interessati alla caduta di Assad per instaurare uno stato islamico radicale. Altrettanto nuovo l’utilizzo delle immagini da parte della propaganda di Assad giocata proprio sulla consueta abitudine dei banditi islamici di filmare le proprie azioni di guerra. In caso di annientamento del gruppo a causa dell’esercito lealista siriano, quelle stesse immagini vengono poi utilizzate per essere rimontate su una base musicale dei western di Ennio Morricone e trasmesse da Syria Tube. Un modo per dimostrare alla popolazione e ai tanti siriani che vivono nel mondo l’efficienza e la forza delle forze armate siriane nei confronti degli assalitori. 
Intanto soltanto dopo quarantotto ore dopo gli incontri di Perugia, l’Unità di crisi della Farnesina ha reso noto che da circa venti giorni non si hanno più notizie dell’inviato del quotidiano la Stampa Domenico Quirico, 62 anni, uno dei giornalisti italiani più seri e preparati nell’affrontare situazioni a rischio. Negli ultimi anni ha raccontato il Sudan, il Darfur, la carestia e i campi profughi nel Corno d’Africa, l’esercito del signore in Uganda, ha seguito interamente le primavere arabe, dalla Tunisia all’Egitto, è stato più volte in Libia per testimoniare la fine del regime di Gheddafi. Nell'agosto 2011 nel tentativo di arrivare a Tripoli è stato rapito insieme ai colleghi del Corriere della Sera Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina e di Avvenire Claudio Monaci. Nel sequestro veniva ucciso il loro autista e solo dopo due giorni drammatici venivano liberati.  Nell'ultimo anno ha coperto per tre volte la guerra in Mali, è stato in Somalia e ora per la quarta volta è in Siria. Nei suoi primi due viaggi siriani era stato ad Aleppo, dove aveva raccontato i bombardamenti e la prima fase della rivolta. Nell'ultimo aveva invece seguito i ribelli spingendosi fino nella zona di Idlib. "Ha voluto tornare di nuovo per raccontare l'evoluzione di un conflitto che si è allontanato troppo dalle prime pagine dei giornali e che, ci ripeteva, nonostante i suoi orrori non scuote la società civile occidentale", ha scritto Calabresi sul giornale.
"Domenico - ha riferito il direttore de La Stampa - è entrato in Siria il 6 aprile, attraverso il confine libanese, diretto verso Homs, area calda dei combattimenti, per poi spingersi, se ce ne fosse stata la possibilità, fino alla periferia di Damasco. Era partito dall'Italia il 5 aprile per Beirut, dove era rimasto una giornata in attesa che i suoi contatti si materializzassero: la mattina di sabato 6 aprile gli abbiamo telefonato per avvisarlo del rapimento  dei colleghi della Rai nella zona di Idlib. Lui ci ha spiegato che il suo percorso sarebbe stato completamente diverso e che ci avrebbe richiamato una volta passato il confine. Nel pomeriggio, alle 18,10, ha mandato un sms con cui annunciava al responsabile Esteri de La Stampa di essere riuscito a entrare in territorio siriano".
Attendiamo tutti il ritorno a casa di Domenico sano e salvo.

venerdì 5 aprile 2013

“Nulla sarà come prima” - Intervista al segretario regionale della Cgil Erminia Mignelli

di Maurizio Oriunno
Il tavolo dei relatori della manifestazione sindacale
Il voto degli italiani e dei molisani nelle ultime elezioni politiche e regionali ha sancito, pur in mezzo all’ambiguità politica del Movimento Cinque Stelle, un cambio di maggioranza nel bel mezzo di una crisi economica che non attenua a placarsi. Con reattività la Cgil del Molise, a pochi giorni dall’esito delle urne, ha voluto presentare al nuovo presidente della Giunta Regionale Paolo Frattura e ai presidenti di Assindustria e Unioncamere, il Piano del lavoro per il Molise. Un documento agile nel quale il sindacato traccia una sorta di strada maestra da intraprendere per ogni settore e sul quale, nel corso della partecipata assemblea dei dirigenti e dei quadri sindacali, c’è stato il sostanziale assenso delle parti chiamate in causa.
Ogni mese giungono dati sulla crisi sempre più drammatici: nel 2012 solo in Molise la Cig è aumentata, rispetto all'anno precedente, del 101,91%: un dato, questo, che risulta essere in assoluto il più alto in Italia.  Disarticolando il dato per settore si registrano aumenti altrettanto preoccupanti: legno +302,77%; alimentari +1.159,91%; meccaniche + 182,05%; vestiario, abbigliamento e arredamento + 46,88%; chimiche + 98,32%; pelli e cuoio + 212,39%; edile + 345,31%.
Anche il numero di aziende che ha richiesto la Cigs è aumentato del 27,78%: il dato peggiore del Paese dopo la Sicilia. La stessa Cassa Integrazione Guadagni in Deroga, che è cresciuta del 62,77%, ha superato tutte le regioni italiane ad esclusione dell'area territoriale siciliana.
“La condizione del Molise – afferma la Cgil - si innesta su una crisi nazionale gravissima e dai risvolti incerti: basti pensare che da quindici anni non si registra un aumento della produttività, mentre, nel contempo, il profitto è stato dirottato sulle rendite finanziarie ed immobiliari. Dinanzi questi dati l'intera classe dirigente deve acquisire la consapevolezza della
drammaticità del momento: una dimensione che impone di rivedere le strategie di
intervento rispetto ad un declino che rischia di divenire irreversibile.” Le aspettative, le richieste, le proposte, i dubbi del sindacato sono condensati nelle risposte del segretario regionale della Cgil Erminia Mignelli.
All’insegna di una nuova stagione politica che arriva dentro una crisi economica senza precedenti l’unica parola d’ordine possibile sembra essere  “partenariato”.
 
“La nostra prima richiesta nei confronti del nuovo governo regionale è la modifica radicale della metodologia del confronto.  Nel 2007 siamo stati chiamati a sottoscrivere un patto con il governo Iorio che non a dato mai frutti poiché non c’è stato mai confronto vero tra le parti in causa ma soltanto una presa visione delle decisioni prese in altre sedi.  Per noi  confronto significa riconoscimento delle rappresentanze sociali che sono portatori di interessi,  vogliamo essere interlocutori riconosciuti per costruire insieme un percorso che possa dare delle possibili soluzioni.  Siamo coscienti che situazione è drammatica, l’unica cosa certa è che nulla sarà come prima, qualsiasi ipotesi di risultato è azzardata ed il momento, dunque, esige un comportamento diverso da parte di tutti quanti.  Proponiamo al Governatore di riscrivere quel patto disatteso nel 2007 ma soprattutto di rispettarlo.”
Proviamo dunque a scrivere un percorso di interventi partendo dalle situazioni di crisi più evidenti come il comparto dell’edilizia, tenendo conto che la realtà dell’edilizia abitativa nei maggiori centri è scoppiata a fronte di un eccessivo deprezzamento delle unità immobiliari. Quali soluzioni portate al nuovo esecutivo?
 
“Il primo comparto a risentire della crisi è stata proprio l’edilizia. Se partiamo dal 2008 possiamo parlare di circa diecimila addetti  fuoriusciti,  di cui 3000 solo nell’ultimo anno. Tenendo conto del fatto che abbiamo ancora aperto il cantiere della ricostruzione si possono immaginare i numeri reali del  fenomeno.  La questione in questa regione è che le risorse per l’edilizia non sono state programmate e sono state utilizzate male a partire dalla ricostruzione.  Non si sono ricostruite le case ma si sono fatte opere mastodontiche, scuole che non servono in quell’area del territorio oppure piscine e quant’altro.  Le risorse destinate alle ricostruzione utilizzate con l’articolo 15 e se pensiamo anche all’alluvione del 2003 sono state utilizzate in tutto il Molise non per favorire la ripresa di quelle aree. Così come il bubbone scoppiato a Campobasso con l’edilizia residenziale frutto di un mancato recupero urbano serio, così come ci sono imprese che non si vedono liquidati gli appalti dalla pubblica amministrazione, nonostante abbiano pagato tributi e liquidato le spettanze ai lavoratori. “
Mi permetta una provocazione: come sindacato non auspicate dunque la costruzione dell’autostrada del Molise per risolvere un problema che ha messo in ginocchio migliaia di lavoratori e di famiglie? 
 
“Il Molise ha bisogno di infrastrutture utili al territorio. Se l’autostrada deve servire ad isolare ulteriormente questa regione e non a mettere in collegamento le aree interne e più marginali del territorio allora non serve.  Servono infrastrutture che permettano tempi di collegamento celeri  ma serve soprattutto che la regione abbia la banda larga: il mondo viaggia ad altre velocità e non possiamo permetterci ulteriori ritardi in questo campo.”
Passiamo invece alle due più gradi contraddizioni degli ultimi anni ovvero Zuccherificio del Molise e Solagrital – Gam – Arena.  Quali soluzioni sono state elaborate? Una soluzione può essere rappresentata dalle politiche di cooperazione?
 
“Premetto che il sistema produttivo molisano è imploso tutto.  Interi nuclei industriali in crisi come Venafro, l’indotto metalmeccanico, il tessile con ITR. Diverso il discorso per il settore agroalimentare molisano perché riteniamo sia l’unico settore ad esprimere ancora potenzialità per una semplice ragione: il nostro territorio si presta al ragionamento di filiera e dobbiamo affermare, purtroppo, che in questi anni si è persa una grande opportunità. Paradossalmente, come tutte le altre realtà che sono state gestire direttamente dalla Regione Molise, sono servite come bacino di voti per questo o quel personaggio politico. Siamo convinti che sia possibile intervenire ancora ma occorre farci una domanda. Quale sistema di impresa in questa regione? Chi fa l’imprenditore?  Noi non abbiamo avuto imprenditori molisani tranne quei pochi nomi riconosciuti da tutti come Ferro o qualche altra realtà. Chiunque è venuto in Molise è venuto a gestire fondi pubblici e quando qualche molisano ha provato a fare impresa, ha preferito la strada della finanza piuttosto che quella dell’impresa.  La cooperazione, in questo senso, può avere una possibilità perché riteniamo che oggi la polverizzazione delle imprese debba portare ad una riflessione: occorre unire.  Il sistema della cooperazione può essere quel sistema di rete o di filiera che può dare una risposta ed offrire un’opportunità di lavoro e di impresa guardando chiaramente all’internazionalizzazione.”
Sanità: in questi ultimi anni maggiori tasse ai cittadini e maggiori tributi alle imprese a fronte di minori servizi. Che dibattito e che proposte ci sono all’interno della Cgil?
 
“Tra gli aspetti che abbiamo messo in fila tra le emergenze da affrontare con il Governo regionale c’è il lavoro ma subito dopo la sanità. Una sanità che drena l’80% del bilancio regionale, che continua ad accumulare disavanzo, che la sua passata gestione comporterà da parte del governo minori entrate. Altro aspetto della sanità riguarda il piano di rientro elaborato dal commissario Filippo Basso che sarà attuato e che sarà pagato pesantemente solo dai cittadini sul quale noi ci opporremo con tutte le nostre forze, cercando anche la condivisione dei cittadini perché pagherà soprattutto la sanità pubblica. Fino a quando non si metteranno in chiaro i rapporti tra sanità pubblica e privata e non si scriveranno in modo chiaro le convenzioni la sanità pubblica sarà sempre in bilico. Noi abbiamo un lavoro molto lungo davanti perché laddove andiamo a razionalizzare gli ospedali dobbiamo costruire al medicina del territorio, ciò implica percorsi e tempi lunghissimi ma soprattutto risorse ed investimenti.”
A questo punto sarebbe auspicabile una mobilitazione in ambito nazionale da parte della politica, del sindacato e del mondo datoriale per salvare il Molise?
 
“Occorre vedere se ci sono le condizioni per l’autonomia di questa regione, questo è il grande punto interrogativo. A parte questo, anche se il Molise diventa un’altra entità, accorpato o no, dentro una macroregione, oggi abbiamo la necessità di aprire con tutti, a partire dal governo regionale , a partire dalle associazioni di categoria, con tutto il partenariato e con tutti i 136 comuni che saranno i primi a non poter far fronte ai tagli, ad aprire con il governo nazionale una vertenza per il Molise, una sorta di task force per affrontare la questione del Molise, nella sua specificità, come regione piccola, come regione che affronta una situazione drammatica sotto tutti i punti di vista. Credo che occorrano metodi diversi: la prossima programmazione europea sarà l’unico strumento di risorse vere che ci saranno nei prossimi anni ma si può ripensare alle zone franche, ai contratti d’area, ai patti territoriali, a progetti interregionali per similitudini, per filiera, per territorio. Come sindacato ci auguriamo che si trovi stabilità nel governo nazionale, senza di quella il Molise ed il governo regionale, anche con tutta la buona volontà, si troverà a partire con tante difficoltà. “
COPYRIGHT IL BENE COMUNE - Anteprima Aprile 2013