mercoledì 26 febbraio 2014

Vinile mon amour

Vinile mon amour


Il fruscio dei solchi di un vecchio disco in vinile ha il merito di riportarci ad una realtà molto più complessa ed articolata  di quella high tech perfetta e patinata che ci è stata propinata negli ultimi trent’anni. Si, perché come i dischi anche la nostra stessa esistenza è fatta di successi e di bside dimenticate, di macchie di caffè e polvere che si accumulano, di graffi e minuscole cicatrici, di puntine che si consumano e bracci che si rompono. Siamo innegabilmente analogici in un mondo digitale. Sono un collezionista di dischi in vinile e vi racconto il perché.

Sin da bambino in casa mia giravano dischi… e che dischi… Woody Herman, George Gershwin, Max Roach, Sonny Rollins, Stan Gets e poi musica brasiliana, Jobim, Joao Gilberto, Mina, Santana ma anche Fausto Papetti e le operette celebri, Mozart e Tchaikowsky… poco rock… mio padre non sopportava assolutamente i capelloni ed il rock. Suonava sax e clarino: lui era per la melodia, per il jazz orchestrale, per la musica da night, l’amico di sempre Fred, Bruno Martino e tutto quello che era anni ’60. Ovviamente non era quella la musica che mi interessava in quel momento ma c’era, esisteva e l’avrei apprezzata ed amata dopo l’adolescenza. A tredici anni, però, per protesta contro la musica del flauto impostami con passione da quel grande musicista e docente che era il Maestro Domenico Fornaro, portai a scuola i “miei” dischi di jazz. Volevo assolutamente modernizzare quell’ora di musica che consideravo un po’ stantia e conservatrice attraverso l’ascolto dei ritmi africani e di sax sbilenchi. Inutile dire che il Maestro all’inizio sembrò apprezzare ed anche la mia classe. Inutile dire che tornammo dopo venti minuti a solfeggiare, a bastonarci di nascosto con il flauto ed io, tra i più duri, ad ascoltare a casa Donatella Rettore, Talking Heads e Clash, gli altri al massimo a pregare Sanremo. Con l’adolescenza sbocciò l’amore per la musica rock: Doors, Beatles, Ac/Dc, Rolling Stones, poi il post punk inglese, la new wave, gli Smiths, U2, Cure, gli psichedelici americani, l’hard core punk, il nuovo rock italiano, l’elettronica, l’hip hop, addirittura la musica house e la tecno.
Generi su generi, mode stagionali arrivavano dai paesi anglosassoni per essere soppiantate dalla next big thing inventata dai furbi discografici e costruita dai giornalisti londinesi. Centinaia e centinaia di lp, insieme a tante riviste, libri, videocassette cominciarono ad entrare in casa. Il mio primo lavoro retribuito con annessi contributi previdenziali, è stato quello di addetto alle vendite in un negozio di dischi e hi-fi. Il lavoro più bello del mondo, senza dubbio. Un’esperienza che mi ha regalato la conoscenza a memoria dei cataloghi delle più grandi case discografiche dell’epoca, ma anche della musica indipendente inglese, americana e australiana degli anni 80/90, fino alla matura consapevolezza che l’ascolto di un disco in vinile suonato su un apparato adeguato, superava in qualità e profondità qualsiasi opera musicale registrata su cd digitale. Un’esperienza meravigliosa, regalatami dalla fiducia di Pasquale Di Lauro, uno degli ultimi resistenti nel Molise ad avere ancora oggi un negozio di dischi ed hi-fi (Bootleg), seppur adeguato con una caffetteria ai tempi ed ai consumi culturali odierni. 
Sono state le politiche (errate) di mercato a generare la fine del disco in vinile. Dal 1992 in poi le grandi major statunitensi (poi assorbite dai giapponesi) cominciarono a stampare solo compact disc e a svilire la qualità dei dischi in vinile. Problema di costi si diceva in quegli anni. Stampare un cd costava all’epoca 1500/2000 lire contro le 4/5000 lire dei dischi in vinile. Riduzione dei costi significava anche magazzini ridotti e la possibilità di nuovo business grazie a vecchi cataloghi da ristampare in formato digitale con ricavi molto alti. Un cd agli inizi degli anni ’90 costava 36/38 mila lire contro le 18/20 di un disco e tutti ambivano ad acquistare un supporto, definito quasi eterno che non si sarebbe rovinato con l’usura, che non si doveva “girare” ogni quattro - cinque brani, che portava via poco spazio sullo scaffale. Poi visto il calo di vendite grazie anche al facile pirataggio dovuto alla debolezza del supporto e alla facilità di copiare dalle rete intere discografie attraverso il file sharing, il mercato discografico ha deciso di distribuire e vendere su internet, buttando nel baratro negozi, rappresentanti, grossisti ed altre figure intermedie che in quel campo avevano assunto competenze e nutrito famiglie intere, fino alla crisi e alla attuali cifre di vendita.
E’ inutile dire che il disco in vinile appartiene ai romantici ed ai coraggiosi. Gli appassionati di vinile non perdono tempo a decantare le virtù del mezzo, poichè non c’è disputa. Il vinile è sacro: dal calore del suono fino alla piccola soddisfazione di tagliare la pellicola trasparente dopo l'acquisto. Il vinile suona bene. Il vinile sembra buono. Il vinile si sente bene. No, non è solo moda. Ci sono ragioni più profonde per cui amiamo un disco in vinile. E’ troppo facile andare sulla rete, pigiare una serie di tasti, fornire il numero di carta di credito ed acquistare file musicali. Per un collezionista la sacralità di un disco è collegata alla sua unicità e come chiunque abbia inseguito la sua personale Moby Dick nella vita, non è difficile capire il significato supplementare, collegato a un oggetto considerato raro o conquistato a fatica.
Il vinile spesso ci dice chi siamo. La presenza fisica della nostra collezione di vinili ci può rappresentare in diversi modi perché assurge ad una sorta di autobiografia culturale che mostra il meglio o il peggio del nostro gusto e del nostro giudizio musicale. Non solo: c'è chi sceglie di conservare la propria collezione di dischi in un posto di rilevo come in un salotto, ad esempio. Se scegliamo di mostrare la nostra collezione musicale, quella diventerà immediatamente parte di noi o almeno una parte visibile di noi che stiamo rivelando alle persone che accogliamo nella nostra casa, una cosa che diventa estremamente difficile da fare con un iPod.
Ma l’amore per il disco in vinile è collegato anche alla parte visiva che esso assume nella nostra vita. Oggi il fascino di una bella copertina è andato perduto, il suo posto è stato preso dagli effetti speciali presenti sul sito internet degli artisti o dalle fotografie pubblicate su Instagram. La copertina di un album, invero, rappresenta un legame reale con il manufatto musicale, ha spesso un vincolo diretto con la registrazione, rappresenta parte dell’immaginario di quell’artista, così come i testi, le immagini presenti fino al logo della casa discografica.
Infine il vinile si tocca, è reale. Si può possedere qualcosa che non si può toccare come un file mp3? La stessa presenza di un disco in vinile assume caratteri psicologici. La presenza di un disco è rassicurante. Un disco su uno scaffale, in piena vista, ricorda la sua esistenza ed implica un legame fisico con esso poiché rappresenta il nostro passato o pezzi di ricordi di altri tempi. Un disco possiede un valore sensoriale o emotivo, cosa difficile da attribuire ad un file mp3.
Una dichiarazione d’amore per un supporto collegato ad una delle più importanti forme artistiche prodotte dall’uomo potrebbe sembrare totemica e superata nell’era digitale, eppure oggi il disco in vinile sembra essere di nuovo oggetto di mercato tra i consumatori di musica. Non a caso le case discografiche hanno cominciato a ristampare negli ultimi cinque anni buona parte delle nuove uscite, oltre che provvedere alla ristampa di grandi classici o album ormai introvabili di artisti che, post mortem hanno ricevuto gli onori della critica e di fette interessanti di pubblico.
E’ sempre esistito, del resto, un mercato di nicchia che non si è mai estinto, formato da vecchi e nuovi collezionisti che ha (ri)animato il vecchio lp e il caro estinto 45 giri, chiaramente presente nella vecchia Europa e negli States, ma che ha visto da sempre protagoniste assolute nazioni come il Giappone e la Corea del Sud. Nel Sol Levante, infatti, permangono collezionisti letteralmente affamati di musica in vinile, attratti specialmente dalla musica italiana prodotta tra gli anni sessanta ed i settanta. Il riferimento culturale è quello delle colonne sonore dei film: da Rota a Morricone, da Umiliani a Piccioni, fino a tutto il jazz ed il progressive italiano. In questo intrigante panorama musicale dimenticato dai consumatori italiani, dalle radio, dalla televisione e dai media in generale, esistono gioielli che raggiungono valutazioni impensabili e che sono oggetto di transazioni spesso sotterranee. La cultura italiana, del resto, mentre viene apprezzata, seguita, acquistata  e venerata nel resto del mondo, giace tristemente abbandonata nel nostro Paese che ha ripiegato miseramente nell’immaginario della televisione nazionalpopolare le proprie mire, i propri orizzonti, il proprio destino. In questo senso però esistono in Italia mostre mercato ormai divenute appuntamento fisso per migliaia di appassionati e collezionisti, nonché i tanti mercatini di provincia o portali internet (oltre a classici come Ebay ed Amazon) dove vengono venduti lp usati o nuovi, classici senza tempo da pochi euro oppure preziose rarità di qualsiasi genere, dove hobbisti o venditori specializzati cedono o cercano di accaparrarsi i propri gioielli.

L’amore per il disco in vinile dunque è una battaglia di resistenza non solo fascinazione vintage e attraversa gran parte del pianeta: ne è la riprova il Record Store Day,  una giornata celebrata, a livello internazionale, ogni terzo sabato del mese di aprile di ogni anno e il cui scopo, così come concepita da Chris Brown (un impiegato di un negozio indipendente di dischi statunitense), è quello di celebrare gli oltre 700 negozi di dischi indipendenti negli USA, assieme alle centinaia di migliaia di negozi musicali indipendenti in tutto il globo. Il Record Store Day è nato ufficialmente nel 2007 e viene festeggiato con centinaia di registrazioni e di artisti che vi partecipano facendo apparizioni speciali, performance, incontri e accoglienza con i propri fan, nonché con l'organizzazione di mostre d'arte, stampa di vinili e cd in edizione speciale, insieme ad altri prodotti promozionali creati per l'occasione. Il Record Store Day è diventato un appuntamento atteso per tutti gli amanti dei negozi di dischi indipendenti. Luoghi in cui per decenni si è tramandata e diffusa la passione per il rock, il jazz, il pop e le sottoculture giovanili e che, con l'avvento del file sharing, hanno iniziato a sparire uno dopo l'altro. Negli ultimi tempi, però, grazie anche alla rinascita del vinile, riscoperto non solo dai vecchi aficionados, ma pure dai più giovani, molti negozi sono riusciti a sopravvivere. Come? Specializzandosi sempre di più, trovando forme alternative di vendita (ad esempio allargando l'offerta su eBay e per corrispondenza), unendo al core-business dei dischi anche quello relativo al merchandising e all'editoria musicale, organizzando eventi all'interno dei propri locali. Una speranza, anzi, più di una speranza dunque, perché un mondo senza dischi è un mondo più brutto e come affermava il principe Miškin nell'Idiota di Dostoevskij solo "La bellezza salverà il mondo".
Copyright IL BENE COMUNE Marzo 2014