Ricordare i morti e le ferite di chi scappava dalla guerra è un esercizio e un dovere utile ancora per tutti noi. Non esistono guerre giuste, soprattutto se dietro quelle guerre si nascondeva la ferocia di chi occupava terre lontane, dietro una bandiera, dando sfogo ai più turpi comportamenti. Ieri con umanità sono state raccontate le storie degli italiani che fuggirono dai quei territori o trovarono una morte misera, così come altre decine di migliaia di slavi colpevoli soltanto di essere slavi. Oggi voglio ricordare quello che la storia stessa dipinge come un criminale di guerra, artefice di massacri in Istria e Slovenia durante l'occupazione fascista di quelle terre.
Era nato a Campobasso il 23 luglio 1877 il generale Alessandro Pirzio Biroli, comandante del corpo d’armata, 65 anni all’epoca, prima di divenire per due anni governatore del regno del Montenegro. Ordinava i suoi massacri dicendo:« La favola del buon italiano deve cessare [...] per ogni camerata caduto paghino con la vita 10 ribelli. Non fidatevi di chi vi circonda. Ricordatevi che il nemico è ovunque; il passante che vi saluta, la donna che avvicinate, l'oste che vi vende il bicchiere di vino [...] ricordatevi che è meglio essere temuti che disprezzati. »
Era il primo luglio 1942 quando una camicia nera scrisse alla propria famiglia: "Abbiamo distrutto tutto da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Ogni notte abbiamo ucciso famiglie intere, picchiandole a morte o sparandogli". La ferocia del generale, che ammirava la violenza dei tedeschi e che per il suo impegno ottenne poi da Hitler la Gran Croce dell’Aquila tedesca, si spinse a ordinare le seguenti rappresaglie: per ogni soldato italiano ucciso o per ogni ufficiale ferito 50 civili ammazzati e 10 per ogni sottufficiale o soldato ferito in imboscate. Quest’uomo, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra del 1908 per la sciabola a squadre, in un opuscolo distribuito alle truppe, dei montenegrini scriveva: "Odiate questo popolo. Esso è quel medesimo popolo contro il quale abbiamo combattuto per secoli sulle sponde dell’Adriatico. Ammazzate, fucilate, incendiate e distruggete questo popolo." Si parla di stupri, omicidi, donne bruciate vive in casa, bombardamenti aerei di scuole e case… Tra i tanti villaggi rasi al suolo con l’uccisione dei loro abitanti, c’è l’episodio raccapricciante di Medjedje dove nel maggio 1943 dopo il passaggio degli italiani, tra le macerie furono trovati carbonizzati 72 cadaveri mutilati, in gran parte vecchi e ammalati.
Il comportamento degli italiani invasori produsse negli jugoslavi una sempre più dura reazione, culminata in feroci schermaglie come la reciproca consegna di cesti pieni di occhi e di testicoli strappati al nemico. Scrisse Tito nelle sue memorie: "Le brutali rappresaglie degli italiani (l’incendio di 23 case e l’uccisione di circa 120 abitanti di Vlaka, Jabuka, Babina e Mihailovici e altri villaggi sulla sponda del Lim, nonché le successive commesse a Drenavo) suscitarono in noi e nei nostri combattenti un cupo furore." L'Italia non consentì mai l'estradizione del criminale di guerra Pirzio Biroli (anche per la mancanza di relazioni diplomatiche Italia-Jugoslavia), tanto che il generale visse a Roma fino alla morte avvenuta nel 1965.