Vinile mon amour
Il fruscio dei
solchi di un vecchio disco in vinile ha il merito di riportarci ad una realtà molto
più complessa ed articolata di quella
high tech perfetta e patinata che ci è stata propinata negli ultimi trent’anni. Si, perché come i dischi anche la nostra stessa esistenza è fatta di
successi e di bside dimenticate, di macchie di caffè e polvere che si
accumulano, di graffi e minuscole cicatrici, di puntine che si consumano e
bracci che si rompono. Siamo innegabilmente analogici in un mondo digitale.
Sono un collezionista di dischi in vinile e vi racconto il perché.
Sin
da bambino in casa mia giravano dischi… e che dischi… Woody Herman, George
Gershwin, Max Roach, Sonny Rollins, Stan Gets e poi musica brasiliana, Jobim,
Joao Gilberto, Mina, Santana ma anche Fausto Papetti e le operette celebri,
Mozart e Tchaikowsky… poco rock… mio padre non sopportava assolutamente i
capelloni ed il rock. Suonava sax e clarino: lui era per la melodia, per il
jazz orchestrale, per la musica da night, l’amico di sempre Fred, Bruno Martino
e tutto quello che era anni ’60. Ovviamente non era quella la musica che mi
interessava in quel momento ma c’era, esisteva e l’avrei apprezzata ed amata
dopo l’adolescenza. A tredici anni, però, per protesta contro la musica del
flauto impostami con passione da quel grande musicista e docente che era il
Maestro Domenico Fornaro, portai a scuola i “miei” dischi di jazz. Volevo
assolutamente modernizzare quell’ora di musica che consideravo un po’ stantia e
conservatrice attraverso l’ascolto dei ritmi africani e di sax sbilenchi.
Inutile dire che il Maestro all’inizio sembrò apprezzare ed anche la mia
classe. Inutile dire che tornammo dopo venti minuti a solfeggiare, a bastonarci
di nascosto con il flauto ed io, tra i più duri, ad ascoltare a casa Donatella
Rettore, Talking Heads e Clash, gli altri al massimo a pregare Sanremo. Con
l’adolescenza sbocciò l’amore per la musica rock: Doors, Beatles, Ac/Dc, Rolling
Stones, poi il post punk inglese, la new wave, gli Smiths, U2, Cure, gli
psichedelici americani, l’hard core punk, il nuovo rock italiano,
l’elettronica, l’hip hop, addirittura la musica house e la tecno.
Generi
su generi, mode stagionali arrivavano dai paesi anglosassoni per essere
soppiantate dalla next big thing inventata dai furbi discografici e costruita
dai giornalisti londinesi. Centinaia e centinaia di lp, insieme a tante
riviste, libri, videocassette cominciarono ad entrare in casa. Il mio primo
lavoro retribuito con annessi contributi previdenziali, è stato quello di
addetto alle vendite in un negozio di dischi e hi-fi. Il lavoro più bello del
mondo, senza dubbio. Un’esperienza che mi ha regalato la conoscenza a memoria
dei cataloghi delle più grandi case discografiche dell’epoca, ma anche della
musica indipendente inglese, americana e australiana degli anni 80/90, fino
alla matura consapevolezza che l’ascolto di un disco in vinile suonato su un apparato adeguato,
superava in qualità e profondità qualsiasi opera musicale registrata su cd
digitale. Un’esperienza meravigliosa, regalatami dalla fiducia di Pasquale Di
Lauro, uno degli ultimi resistenti nel Molise ad avere ancora oggi un negozio
di dischi ed hi-fi (Bootleg), seppur adeguato con una caffetteria ai tempi ed
ai consumi culturali odierni.
Sono
state le politiche (errate) di mercato a generare la fine del disco in vinile.
Dal 1992 in poi le grandi major statunitensi (poi assorbite dai giapponesi)
cominciarono a stampare solo compact disc e a svilire la qualità dei dischi in
vinile. Problema di costi si diceva in quegli anni. Stampare un cd costava
all’epoca 1500/2000 lire contro le 4/5000 lire dei dischi in vinile. Riduzione
dei costi significava anche magazzini ridotti e la possibilità di nuovo
business grazie a vecchi cataloghi da ristampare in formato digitale con ricavi
molto alti. Un cd agli inizi degli anni ’90 costava 36/38 mila lire contro le
18/20 di un disco e tutti ambivano ad acquistare un supporto, definito quasi
eterno che non si sarebbe rovinato con l’usura, che non si doveva “girare” ogni
quattro - cinque brani, che portava via poco spazio sullo scaffale. Poi visto
il calo di vendite grazie anche al facile pirataggio dovuto alla debolezza del
supporto e alla facilità di copiare dalle rete intere discografie attraverso il
file sharing, il mercato discografico ha deciso di distribuire e vendere su
internet, buttando nel baratro negozi, rappresentanti, grossisti ed altre
figure intermedie che in quel campo avevano assunto competenze e nutrito
famiglie intere, fino alla crisi e alla attuali cifre di vendita.
E’
inutile dire che il disco in vinile appartiene ai romantici ed ai coraggiosi.
Gli appassionati di vinile non perdono tempo a decantare le virtù del mezzo,
poichè non c’è disputa. Il vinile è sacro: dal calore del suono fino alla
piccola soddisfazione di tagliare la pellicola trasparente dopo l'acquisto. Il
vinile suona bene. Il vinile sembra buono. Il vinile si sente bene. No, non è
solo moda. Ci sono ragioni più profonde per cui amiamo un disco in vinile. E’
troppo facile andare sulla rete, pigiare una serie di tasti, fornire il numero
di carta di credito ed acquistare file musicali. Per un collezionista la
sacralità di un disco è collegata alla sua unicità e come chiunque abbia
inseguito la sua personale Moby Dick nella vita, non è difficile capire il
significato supplementare, collegato a un oggetto considerato raro o
conquistato a fatica.
Il
vinile spesso ci dice chi siamo. La presenza fisica della nostra collezione di
vinili ci può rappresentare in diversi modi perché assurge ad una sorta di
autobiografia culturale che mostra il meglio o il peggio del nostro gusto e del
nostro giudizio musicale. Non solo: c'è chi sceglie di conservare la propria
collezione di dischi in un posto di rilevo come in un salotto, ad esempio. Se
scegliamo di mostrare la nostra collezione musicale, quella diventerà
immediatamente parte di noi o almeno una parte visibile di noi che stiamo
rivelando alle persone che accogliamo nella nostra casa, una cosa che diventa
estremamente difficile da fare con un iPod.
Ma
l’amore per il disco in vinile è collegato anche alla parte visiva che esso
assume nella nostra vita. Oggi il fascino di una bella copertina è andato
perduto, il suo posto è stato preso dagli effetti speciali presenti sul sito
internet degli artisti o dalle fotografie pubblicate su Instagram. La copertina di un album, invero, rappresenta un legame
reale con il manufatto musicale, ha spesso un vincolo diretto con la
registrazione, rappresenta parte dell’immaginario di quell’artista, così come i
testi, le immagini presenti fino al logo della casa discografica.
Infine
il vinile si tocca, è reale. Si può possedere qualcosa che non si può toccare
come un file mp3? La stessa presenza di un disco in vinile assume caratteri
psicologici. La presenza di un disco è rassicurante. Un disco su uno scaffale,
in piena vista, ricorda la sua esistenza ed implica un legame fisico con esso
poiché rappresenta il nostro passato o pezzi di ricordi di altri tempi. Un
disco possiede un valore sensoriale o emotivo, cosa difficile da attribuire ad
un file mp3.
Una
dichiarazione d’amore per un supporto collegato ad una delle più importanti
forme artistiche prodotte dall’uomo potrebbe sembrare totemica e superata
nell’era digitale, eppure oggi il disco in vinile sembra essere di nuovo
oggetto di mercato tra i consumatori di musica. Non a caso le case
discografiche hanno cominciato a ristampare negli ultimi cinque anni buona
parte delle nuove uscite, oltre che provvedere alla ristampa di grandi classici
o album ormai introvabili di artisti che, post mortem hanno ricevuto gli onori
della critica e di fette interessanti di pubblico.
E’
sempre esistito, del resto, un mercato di nicchia che non si è mai estinto,
formato da vecchi e nuovi collezionisti che ha (ri)animato il vecchio lp e il
caro estinto 45 giri, chiaramente presente nella vecchia Europa e negli States,
ma che ha visto da sempre protagoniste assolute nazioni come il Giappone e la
Corea del Sud. Nel Sol Levante, infatti, permangono collezionisti letteralmente
affamati di musica in vinile, attratti specialmente dalla musica italiana
prodotta tra gli anni sessanta ed i settanta. Il riferimento culturale è quello
delle colonne sonore dei film: da Rota a Morricone, da Umiliani a Piccioni,
fino a tutto il jazz ed il progressive italiano. In questo intrigante panorama
musicale dimenticato dai consumatori italiani, dalle radio, dalla televisione e
dai media in generale, esistono gioielli che raggiungono valutazioni
impensabili e che sono oggetto di transazioni spesso sotterranee. La cultura
italiana, del resto, mentre viene apprezzata, seguita, acquistata e venerata nel resto del mondo, giace
tristemente abbandonata nel nostro Paese che ha ripiegato miseramente
nell’immaginario della televisione nazionalpopolare le proprie mire, i propri
orizzonti, il proprio destino. In questo senso però esistono in Italia mostre
mercato ormai divenute appuntamento fisso per migliaia di appassionati e
collezionisti, nonché i tanti mercatini di provincia o portali internet (oltre
a classici come Ebay ed Amazon) dove vengono venduti lp usati o nuovi, classici
senza tempo da pochi euro oppure preziose rarità di qualsiasi genere, dove
hobbisti o venditori specializzati cedono o cercano di accaparrarsi i propri
gioielli.
L’amore
per il disco in vinile dunque è una battaglia di resistenza non solo
fascinazione vintage e attraversa gran parte del pianeta: ne è la riprova il
Record Store Day, una giornata
celebrata, a livello internazionale, ogni terzo sabato del mese di aprile di
ogni anno e il cui scopo, così come concepita da Chris Brown (un impiegato di
un negozio indipendente di dischi statunitense), è quello di celebrare gli
oltre 700 negozi di dischi indipendenti negli USA, assieme alle centinaia di
migliaia di negozi musicali indipendenti in tutto il globo. Il Record Store Day
è nato ufficialmente nel 2007 e viene festeggiato con centinaia di
registrazioni e di artisti che vi partecipano facendo apparizioni speciali,
performance, incontri e accoglienza con i propri fan, nonché con
l'organizzazione di mostre d'arte, stampa di vinili e cd in edizione speciale,
insieme ad altri prodotti promozionali creati per l'occasione. Il Record Store
Day è diventato un appuntamento atteso per tutti gli amanti dei negozi di
dischi indipendenti. Luoghi in cui per decenni si è tramandata e diffusa la
passione per il rock, il jazz, il pop e le sottoculture giovanili e che, con
l'avvento del file sharing, hanno iniziato a sparire uno dopo l'altro. Negli
ultimi tempi, però, grazie anche alla rinascita del vinile, riscoperto non solo
dai vecchi aficionados, ma pure dai più giovani, molti negozi sono riusciti a
sopravvivere. Come? Specializzandosi sempre di più, trovando forme alternative
di vendita (ad esempio allargando l'offerta su eBay e per corrispondenza),
unendo al core-business dei dischi anche quello relativo al merchandising e
all'editoria musicale, organizzando eventi all'interno dei propri locali. Una
speranza, anzi, più di una speranza dunque, perché un mondo senza dischi è un
mondo più brutto e come affermava il principe
Miškin nell'Idiota di Dostoevskij solo
"La bellezza
salverà il mondo".
Copyright IL BENE COMUNE Marzo 2014
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