L’esperienza
del giornalismo di guerra è stata al centro di due panel programmati
all’interno dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di
Perugia. Le narrazioni condotte dalla freelance Susan Dabbous e dal giornalista
Rai Amedeo Ricucci, recentemente rapiti da un gruppo radicale islamico in Siria
sono state confrontate nell’ambito delle azioni condotte dall’International
News Safety Institute (Insi), organizzazione che da dieci anni promuove le
migliori pratiche di sicurezza per i giornalisti impegnati sulla front line,
offrendo formazione e spesso anche pressione sui governi affinché supportino il
giornalismo indipendente. Insieme a loro il decano del giornalismo di guerra
Paul Wood (BBC News), Ruth Sherlock (The Daily Telegraph) e Richard Sambroock,
direttore executive board dell’Insi per affrontare il tema della sicurezza dei
giornalisti impegnati sul fronte e discutere sull’effettiva veridicità delle
fonti quando è in gioco la propaganda delle fazioni in un quadro di guerra. Nel
corso del dibattito è stato forte il richiamo di Amedeo Ricucci circa il tema
della sicurezza, soprattutto per quanto riguarda i giornalisti freelance che, a
fronte di tanto entusiasmo restano spesso vittime dei conflitti o subiscono
violenze, sequestri e furto delle attrezzature. “Mi contattano spesso – ha
detto Ricucci – giovani freelance italiani che vogliono sapere notizie o
informazioni circa le zone migliori da seguire, quali strade percorrere, quali
mezzi per entrare in Siria. La prima domanda che gli faccio è se sono muniti di
giubbotto antiproiettile e casco protettivo. Queste sono le prime cose da
portarsi dietro se si intende stare sulle varie front line.” Differente anche
il panorama delle assicurazioni. “Io come giornalista Rai – ha proseguito
Ricucci - sono protetto da diversi tipi di assicurazioni sia personali che
sulle attrezzature che porto dietro. Quando ci hanno rapito ci hanno
sequestrato tutto: io ho perso oltre 30 mila euro di attrezzature ma era
materiale Rai assicurato. Per gli altri che erano con me invece la cosa è stata
diversa perché hanno perso tutto in un solo colpo”. Completamente differente approccio della BBC nelle
zone di conflitto: la storica società britannica si avvale di personale di
sicurezza armato per scortare i corrispondenti in zone di guerra e le loro
azioni nei villaggi, ad esempio, non vanno oltre i quindici minuti. “Abbiamo
valutato attraverso l’esperienza – ha riferito Paul Wood – che quindici minuti
siano validi per riprese sicure e impediscono l’organizzazione di un sequestro
lampo, ad esempio. “ Determinante, inoltre, sempre nel campo della sicurezza
conoscere la geografia dei luoghi da visitare, le culture locali, le lingue, le
strade di accesso e le vie di fuga. Parole di elogio sono venute proprio da
Ricucci nei confronti della sua collega italo siriana Susan Dabbous: “Susan è
stata molto brava anche non essendo una corrispondente di guerra perché nel
corso dell’azione del sequestro e nei giorni di prigionia ha saputo trattare
con i nostri rapitori. Le hanno trovato nello zaino un pacchetto di sigarette e
lei ha negato che fossero sue. Oltre ai vari divieti imposti dal codice
coranico, infatti, i nostri rapitori erano anche contro il fumo, nonostante nei
paesi islamici fumino tutti, sia maschi che femmine. Inoltre ha chiesto di
essere separata dal nostro gruppo tutto al maschile durante la prigionia, un
fatto che le è valso il rispetto dei fondamentalisti, oltre al fatto di
parlargli senza guardare nei loro occhi. Una serie di accorgimenti che hanno
evitato, probabilmente, azioni violente da parte dei nostri rapitori.”
l tema delle immagini e delle fonti, soprattutto nel contesto siriano, hanno avuto risalto in un altro panel che ha visto gli stessi ospiti. La facilità nel trasmettere fotografie e video dalle zone di guerra attraverso le nuove piattaforme digitali, fanno del conflitto in corso in Siria un esempio nuovo ed emblematico della nuova media war. Con un semplice telefono cellulare è possibile riprendere e spedire dopo pochi minuti immagini che possono essere manipolate dalle parti in causa. Quale credibilità ed autorevolezza, dunque, hanno le immagini riprese da attivisti di fazioni spesso confuse e sconosciute nel conflitto siriano? Siamo di fronte ad una media war, dunque, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Le azioni di propaganda dei mercenari salafiti che stanno violentando quel paese sono spesso filmate con sadismo da parte degli stessi guerriglieri che filmano esecuzioni, sgozzamenti e decapitazioni che vengono poi trasmesse dai canali telematici fino a giungere con facilità addirittura in social come Facebook o Twitter. Una sorta di macabra prova da mostrare per ricevere armi e denaro da parte di principi e uomini d’affare arabi interessati alla caduta di Assad per instaurare uno stato islamico radicale. Altrettanto nuovo l’utilizzo delle immagini da parte della propaganda di Assad giocata proprio sulla consueta abitudine dei banditi islamici di filmare le proprie azioni di guerra. In caso di annientamento del gruppo a causa dell’esercito lealista siriano, quelle stesse immagini vengono poi utilizzate per essere rimontate su una base musicale dei western di Ennio Morricone e trasmesse da Syria Tube. Un modo per dimostrare alla popolazione e ai tanti siriani che vivono nel mondo l’efficienza e la forza delle forze armate siriane nei confronti degli assalitori.
Intanto soltanto dopo quarantotto ore dopo gli incontri di Perugia, l’Unità di crisi della Farnesina ha reso noto che da circa venti giorni non si hanno più notizie dell’inviato del quotidiano la Stampa Domenico Quirico, 62 anni, uno dei giornalisti italiani più seri e preparati nell’affrontare situazioni a rischio. Negli ultimi anni ha raccontato il Sudan, il Darfur, la carestia e i campi profughi nel Corno d’Africa, l’esercito del signore in Uganda, ha seguito interamente le primavere arabe, dalla Tunisia all’Egitto, è stato più volte in Libia per testimoniare la fine del regime di Gheddafi. Nell'agosto 2011 nel tentativo di arrivare a Tripoli è stato rapito insieme ai colleghi del Corriere della Sera Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina e di Avvenire Claudio Monaci. Nel sequestro veniva ucciso il loro autista e solo dopo due giorni drammatici venivano liberati. Nell'ultimo anno ha coperto per tre volte la guerra in Mali, è stato in Somalia e ora per la quarta volta è in Siria. Nei suoi primi due viaggi siriani era stato ad Aleppo, dove aveva raccontato i bombardamenti e la prima fase della rivolta. Nell'ultimo aveva invece seguito i ribelli spingendosi fino nella zona di Idlib. "Ha voluto tornare di nuovo per raccontare l'evoluzione di un conflitto che si è allontanato troppo dalle prime pagine dei giornali e che, ci ripeteva, nonostante i suoi orrori non scuote la società civile occidentale", ha scritto Calabresi sul giornale.
"Domenico - ha riferito il direttore de La Stampa - è entrato in Siria il 6 aprile, attraverso il confine libanese, diretto verso Homs, area calda dei combattimenti, per poi spingersi, se ce ne fosse stata la possibilità, fino alla periferia di Damasco. Era partito dall'Italia il 5 aprile per Beirut, dove era rimasto una giornata in attesa che i suoi contatti si materializzassero: la mattina di sabato 6 aprile gli abbiamo telefonato per avvisarlo del rapimento dei colleghi della Rai nella zona di Idlib. Lui ci ha spiegato che il suo percorso sarebbe stato completamente diverso e che ci avrebbe richiamato una volta passato il confine. Nel pomeriggio, alle 18,10, ha mandato un sms con cui annunciava al responsabile Esteri de La Stampa di essere riuscito a entrare in territorio siriano".
Attendiamo tutti il ritorno a casa di Domenico sano e salvo.
l tema delle immagini e delle fonti, soprattutto nel contesto siriano, hanno avuto risalto in un altro panel che ha visto gli stessi ospiti. La facilità nel trasmettere fotografie e video dalle zone di guerra attraverso le nuove piattaforme digitali, fanno del conflitto in corso in Siria un esempio nuovo ed emblematico della nuova media war. Con un semplice telefono cellulare è possibile riprendere e spedire dopo pochi minuti immagini che possono essere manipolate dalle parti in causa. Quale credibilità ed autorevolezza, dunque, hanno le immagini riprese da attivisti di fazioni spesso confuse e sconosciute nel conflitto siriano? Siamo di fronte ad una media war, dunque, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Le azioni di propaganda dei mercenari salafiti che stanno violentando quel paese sono spesso filmate con sadismo da parte degli stessi guerriglieri che filmano esecuzioni, sgozzamenti e decapitazioni che vengono poi trasmesse dai canali telematici fino a giungere con facilità addirittura in social come Facebook o Twitter. Una sorta di macabra prova da mostrare per ricevere armi e denaro da parte di principi e uomini d’affare arabi interessati alla caduta di Assad per instaurare uno stato islamico radicale. Altrettanto nuovo l’utilizzo delle immagini da parte della propaganda di Assad giocata proprio sulla consueta abitudine dei banditi islamici di filmare le proprie azioni di guerra. In caso di annientamento del gruppo a causa dell’esercito lealista siriano, quelle stesse immagini vengono poi utilizzate per essere rimontate su una base musicale dei western di Ennio Morricone e trasmesse da Syria Tube. Un modo per dimostrare alla popolazione e ai tanti siriani che vivono nel mondo l’efficienza e la forza delle forze armate siriane nei confronti degli assalitori.
Intanto soltanto dopo quarantotto ore dopo gli incontri di Perugia, l’Unità di crisi della Farnesina ha reso noto che da circa venti giorni non si hanno più notizie dell’inviato del quotidiano la Stampa Domenico Quirico, 62 anni, uno dei giornalisti italiani più seri e preparati nell’affrontare situazioni a rischio. Negli ultimi anni ha raccontato il Sudan, il Darfur, la carestia e i campi profughi nel Corno d’Africa, l’esercito del signore in Uganda, ha seguito interamente le primavere arabe, dalla Tunisia all’Egitto, è stato più volte in Libia per testimoniare la fine del regime di Gheddafi. Nell'agosto 2011 nel tentativo di arrivare a Tripoli è stato rapito insieme ai colleghi del Corriere della Sera Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina e di Avvenire Claudio Monaci. Nel sequestro veniva ucciso il loro autista e solo dopo due giorni drammatici venivano liberati. Nell'ultimo anno ha coperto per tre volte la guerra in Mali, è stato in Somalia e ora per la quarta volta è in Siria. Nei suoi primi due viaggi siriani era stato ad Aleppo, dove aveva raccontato i bombardamenti e la prima fase della rivolta. Nell'ultimo aveva invece seguito i ribelli spingendosi fino nella zona di Idlib. "Ha voluto tornare di nuovo per raccontare l'evoluzione di un conflitto che si è allontanato troppo dalle prime pagine dei giornali e che, ci ripeteva, nonostante i suoi orrori non scuote la società civile occidentale", ha scritto Calabresi sul giornale.
"Domenico - ha riferito il direttore de La Stampa - è entrato in Siria il 6 aprile, attraverso il confine libanese, diretto verso Homs, area calda dei combattimenti, per poi spingersi, se ce ne fosse stata la possibilità, fino alla periferia di Damasco. Era partito dall'Italia il 5 aprile per Beirut, dove era rimasto una giornata in attesa che i suoi contatti si materializzassero: la mattina di sabato 6 aprile gli abbiamo telefonato per avvisarlo del rapimento dei colleghi della Rai nella zona di Idlib. Lui ci ha spiegato che il suo percorso sarebbe stato completamente diverso e che ci avrebbe richiamato una volta passato il confine. Nel pomeriggio, alle 18,10, ha mandato un sms con cui annunciava al responsabile Esteri de La Stampa di essere riuscito a entrare in territorio siriano".
Attendiamo tutti il ritorno a casa di Domenico sano e salvo.
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