mercoledì 31 luglio 2013

Compagna Luna, incontro con Barbara Balzerani


“L’immensa maggioranza dell’umanità è stata condannata all’oblio obbligatorio. Il sistema universale del potere le proibisce di ricordare, perché le proibisce di essere.”
Eduardo Galeano

Quando ho accettato l’invito di Italo Di Sabato, presidente dell’Osservatorio sulla repressione, a presentare la ristampa di “Compagna Luna”, autobiografia di Barbara Balzerani, mi sono subito reso conto della gravosità dell’incarico e delle difficoltà che avrei incontrato. Ho dovuto infatti ripercorrere dolorosamente quegli anni non solo attraverso i miei ricordi e le mie convinzioni ma confrontarmi necessariamente con la storia.
Barbara Balzerani è stata militante e dirigente della colonna romana delle Brigate Rosse. Ha partecipato a diverse azioni armate, compresa la strage di via Fani. Al termine di una lunga latitanza, nel 1985 è arrestata e condannata a sei ergastoli. Sconta venticinque anni di carcere. Oggi è libera.
 “La luna è stata spesso la mia unica compagna in questi anni. Poi la Luna e la donna hanno da sempre avuto un rapporto speciale e controverso.” Il titolo della biografia di Barbara Balzerani viene giustificato in modo quasi adolescenziale dalla sua autrice, seduta al centro del palchetto allestito nella sala del Teatro del Loto di Ferrazzano.
“Bel paese, molto pulito, somiglia tanto a paesi che conosco del frusinate e della Ciociaria, ecco vedi questo vicolo in discesa, sono proprio identici – così comincia la conoscenza di Barbara Balzerani, passeggiando lungo le stradine ordinate del centro che svetta sul capoluogo. “Quando sono uscita dal carcere ed ho rincontrato Roma ho avuto paura delle auto, troppe auto, il casino, i rumori, il traffico…”. E’ una donna minuta Barbara, i suoi occhi si illuminano quando parliamo di città che ha visitato dopo la sua condanna: “In particolare mi ha stregato Palermo, città magnifica – dice Barbara – con le strade di Ballarò che hanno le targhe delle strade  in tre lingue, sono quasi caduta in ginocchio per l’atmosfera che si respirava nello Spasimo: poi quando mi sono presentata in Commissariato per la firma consueta in caso di spostamenti, con quel casino non solo nessun funzionario si è fatto vivo ma il permesso mi è stato firmato frettolosamente da un piantone. Praticamente ero libera.” 
“Compagna Luna” è il racconto vivo e doloroso di un’esperienza umana e politica che dal passato  riporta al presente memorie e frammenti di vita di una donna che, in un tempo specifico attraversato da questo paese circa quaranta anni fa, ha praticato la propaganda armata e la cosiddetta guerra civile dispiegata.
Scelte che hanno determinato, in modo forte, questo nostro presente e quello di chi in quegli anni è stato anche solo sfiorato da quelle azioni.
Scelte personali e collettive sulle quali la politica e la società civile non hanno mai trovato la lucidità necessaria per un confronto, delegando tutti gli aspetti alla magistratura e le sue immagini e riflessioni alla letteratura criminale di questo paese.  
“Che lingua parlavo a quei tempi? La lingua che parlavano tutti in strada, nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche. Sono nata nel 1949, mia madre era veneta, contadina, venuta a lavorare giù in fabbrica a Roma. Rientrava la sera dalla fabbrica, io vivevo libera. Poi la scuola, gli echi lontani degli scontri di Valle Giulia, l’impegno politico.”
E’ luogo comune affermare che la storia la scrivono i vincitori. Ma esiste una letteratura dei vinti, quella in cui “Compagna Luna” entra a farne parte a pieno titolo.
“Si, Tabucchi fece di tutto per farmi cacciare dalla Feltrinelli e ci riuscì, nonostante avessi venduto oltre ottomila copie in pochi mesi.  Non voleva che io entrassi a far parte della sua categoria. Non ne avevo la titolarità e la nobiltà secondo lui.”
Oltre alla storia i vincitori scrivono anche le leggi. Dopo l’omicidio di Aldo Moro e la strage di Via Fani per mano del gruppo di fuoco delle Brigate Rosse arrivò la legislazione emergenziale, il carcere duro, la tortura, ma più in generale la politica aprì al Reganismo.  Quegli anni portarono a quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia. Dopo anni di lotte politiche e sociali venne favorito un processo di arretramento dei diritti dei lavoratori con  il referendum sulla scala mobile, il simbolo della marcia dei trentamila, la fabbrica integrata. Si passò dall’idea di compromesso storico all’attivismo consociativista del PCI, prima della caduta del blocco sovietico e la stagione di Mani Pulite.
“In Italia non sparavamo solo noi. Si sparava in strada durante le manifestazioni, sparava la polizia. E’ pur vero che le lotte di quegli anni portarono alla conquista di diritti inimmaginabili … non solo quelli dei diritti civili ma dentro le fabbriche i capi reparto, i capi del personale, camminavano raso al muro. Erano saltati gli equilibri che finora avevano caratterizzato quei luoghi, non c’era più timore.” L’errore storico della Brigate Rosse fu quello di credere che la lotta armata riuscisse a resuscitare la Resistenza tradita.
“Errore? Analizzando quello che vedo oggi è evidente che abbiamo commesso quell’errore. Ci stiamo cannibalizzando l’un l’altro, il clima, le risorse, l’energia, le battaglie di ieri appaiono diverse da quelle di oggi e la lotta dei valsusini contro i lavori per la Tav è l’emblema delle lotte odierne. Sono convinta che esista oggi una sorta di ottundimento generalizzato. Non so, il fatto di essere stata in carcere, non aver vissuto gli anni di Berlusconi, dell’avvento del potere della comunicazione televisiva, mi permette forse di vedere il presente con maggiore distacco.”
Per la generazione del ’68 la cinematografia è stata uno straordinario strumento di socializzazione: proprio negli ultimi dieci anni si è tentata una rilettura di quell’esperienza tra storia ed intimità dei suoi personaggi. Tra le tante pellicole entra in gioco “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio, tratto dalle testimonianze di Laura Braghetti.
“Non mi è piaciuto, nonostante la mia stima per i lavori di Bellocchio a partire da “I pugni in tasca”. Troppe forzature… per la mia esperienza non immagino che in un covo pieno di latitanti, con tutte le precauzioni del caso che tenevamo, ci si metta a parlare ad alta voce e a gridare, oppure a fare i cortei interni. Eppoi non parlavamo mai di politica a tavola… parlare di strategie mentre mangi i rigatoni alla matriciana?...No, noi non eravamo così.”
L’uso delle armi, la convivenza quotidiana con strumenti atti a sopprimere la vita umana, l’azione di Via Fani, i tanti racconti, le ricostruzioni ufficiali, i dubbi, le interpretazioni.
“Non andammo mai, a differenza di altre formazioni di altre nazioni, ad esercitarci fuori dall’Italia. Anzi, eravamo tenuti a bada per le munizioni da un genovese, uno dal braccino corto. Quella di via Fani, chiamala come vuoi, è stata una cosa che è riuscita quella volta e solo quella volta, un’azione compiuta da gente normale: tre artigiani, un insegnante, due studenti. Nessun professionista, nessun personaggio particolare: vi sembrerà impossibile ma abbiamo fatto tutto noi.”
La radicalità di quelle scelte ha coinvolto almeno due generazioni di italiani che oggi hanno superato i sessanta anni. Il ’68 scoppio a venti anni circa dalla fine del secondo conflitto mondiale, dopo l’oppressione nazifascista, in un panorama geopolitico dai contorni ancora oscuri. L’Italia era l’unico paese del Mediterraneo che, a differenza di Grecia, Spagna e Portogallo, non era succube di dittature di tipo militare. Il timore di colpi di stato, proprio dopo la promulgazione dello statuto dei lavoratori (1970), è oggi descritto sulla storiografia ufficiale grazie alle testimonianze e all’apertura di archivi dello Stato. La strage nella Banca Nazionale dell’Agricoltura aprì un conflitto drammatico dentro le istituzioni democratiche italiane senza precedenti, nel quale settori dello Stato risposero a richiami antidemocratici, provenienti da interessi politici italiani e stranieri. Allo stesso tempo il movimento operaio nella sua autonomia, il movimento studentesco e larga parte degli intellettuali e del mondo della cultura riuscirono in un percorso sociale e politico che, solo nelle sue avanguardie estreme, approdò alla lotta armata e alla scelta (rivelatasi errata) di aprire un conflitto militare per la risoluzione del conflitto di classe. Quella visione strategica, quella opzione che non aveva epigoni nel mondo occidentale fino a quel momento, contribuì insieme alla mutazione genetica del capitalismo, ad annullare e disgregare quell’idea di cambiamento che per dieci anni aveva infiammato e mutato, in senso progressista, il Paese.
“Compagna Luna” è un libro che da Piazza Fontana fino a Via Fani e alle sue atroci conseguenze racconta l’esperienza  personale di Barbara Balzerani. Non è un libro sulle Brigate Rosse e sulle sue azioni. “Non potrei essere io a farla. È solo una parte di quanto ho vissuto e di come”. Tanto è stato scritto su questo volume sin dalla sua prima uscita nel 1998. A quindici anni dalla ristampa per Derive Approdi, casa editrice indipendente, Barbara ha pagato il suo conto con la giustizia e oggi da donna e scrittrice  libera si appresta a vivere il suo futuro con la matura consapevolezza che il suo passato non l’abbandonerà.
“Provare ad azzerare è impossibile. Ognuno ha la sua storia e tentare di staccarsela di dosso è praticamente non esistere. Ma come coniugare l'esserci tutta intera senza ritrovarmi continuamente fuori misura? In una diversità che sembra incapace di comunicare. Che provoca sguardi sfuggenti o risposte ai limiti della banalità. … Ma stavolta non posso limitarmi a scappare e rifugiarmi nel limbo del mio inaccessibile. Come ho imparato a fare da quando l'attesa dell'incontro col fuori si é trasformata nello spaesamento di ogni ritorno difficile. Sono esposta, perché da quello che mi piomba addosso non posso fuggire. Come sempre é impossibile dalla involontaria consuetudine dell'accadere. Potrei andare dovunque e accadrebbe lo stesso, perché adesso so che sta accadendo. No, non ci sono mani amiche che possono placare, né occhi amorevoli rassicurare. Non c'è neanche parola che possa comunicare e far condividere. Sono sola e senza misure. In mezzo a tanta gente e totalmente in balìa.”

Copyright Il bene Comune agosto/settembre 2013 



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