Ho conosciuto Palermo partecipando alle numerose manifestazioni che, anno dopo anno, in qualsiasi stagione ed in gran parte dei quartieri della città si tengono per ricordare i caduti della guerra alla mafia. Esiste infatti una sorta di percorso della memoria (che non si trova in nessuna guida turistica) che vede le lapidi ed i cippi di magistrati, giornalisti, poliziotti, carabinieri, commercianti, imprenditori, militanti politici, uccisi per mano della mafia. “Chi è quell’uomo con quella lunga barba bianca?” domandai ingenuamente alla mia futura moglie in una manifestazione alla fine degli anni ’90. “E’ il papà di Agostino” rispose Roberta. Davo per assodato che Agostino fosse un suo amico. Non era così.
L’uomo dai lunghi capelli e dalla barba bianca è Vincenzo Agostino, padre dell’agente Antonino Agostino che, insieme alla giovane moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi, furono assassinati nei pressi di Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989. Da allora Vincenzo non si è più rasato per protesta, giurando sulla bara del figlio, finché non verrà fuori tutta la verità sulla morte di Nino e di sua moglie. Oggi 1 luglio 2014 la famiglia Agostino ha voluto ricordare i 25 anni di matrimonio di Antonino e Ida avvenuto il 1 luglio 1989, attraverso un’iniziativa pubblica che si terrà nella Parrocchia S. Gaetano in Via Brancaccio. Una cerimonia di festa per celebrare la vita dei due giovani sposi assassinati da Cosa Nostra, attraverso la musica, la poesia, i tanti momenti di preghiera e di lettura e dibattito. Anche a Villagrazia di Carini, sul lungomare Cristoforo Colombo, esiste una targa apposta tre anni fa che ricorda l’uccisione dei due coniugi. Ma che accadde il 5 agosto 1989? Antonino Agostino, detto Nino era un poliziotto ed agente del Sisde, il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, un servizio dell’intelligence italiana in attività fino alla riforma del 2007, quando è stato sostituito dall’Aisi (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna). Una sigla che ritroviamo in tanti scandali politici in cui rimase coinvolta negli anni ’80, i cui vertici comparirono nella lista degli iscritti alla loggia P2.
Quel giorno Antonino non era armato: doveva festeggiare il compleanno di sua sorella in una delle tante ville e case di campagna che fanno di Villagrazia un enorme agglomerato urbano senza nomi di strade, numeri civici e servizi. Quel giorno mentre si apprestava ad entrare in una di quelle ville insieme alla moglie Ida, un gruppo di sicari in motocicletta cominciò a sparare contro la coppia. Agostino venne colpito da vari proiettili, mentre la Castelluccio venne ferita da un solo colpo: quando i famigliari si precipitarono fuori dall’abitazione erano entrambi già morti. Agostino stava indagando sul fallito attentato dell’Addaura, una fascia di Palermo che circonda Monte Pellegrino sul lato mare, dove risiedeva il giudice Falcone per il periodo estivo. La mattina del 21 giugno 1989, gli agenti di polizia addetti alla protezione personale del giudice Falcone trovarono 58 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all'interno di un borsone sportivo, accanto ad una muta subacquea e delle pinne abbandonate, nella spiaggetta antistante la villa affittata dal magistrato, che aspettava i colleghi svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann con cui doveva discutere sul filone dell'inchiesta "pizza connection" che riguardava il riciclaggio di denaro sporco. L'esplosivo era stipato in una cassetta metallica, ed era innescato da due detonatori. Secondo le indagini dell'epoca, alcuni uomini non identificati piazzarono l'esplosivo, il quale non esplose: all'epoca ciò fu attribuito ad un fortunato caso (si parlò di un malfunzionamento del detonatore)
Agostino aveva forse scoperto qualcosa di importante su quel borsone-bomba dell'Addaura e per questo è stato eliminato. La notte dell’assassinio, alcuni ignoti "uomini dello Stato" riuscirono ad entrare nell'abitazione dei coniugi defunti e fecero sparire degli appunti che riguardavano delle importanti indagini che stava conducendo l’agente del Sisde. Ai funerali della coppia tenutisi il 10 agosto 1989, erano presenti sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino. Fu lo stesso Falcone, durante il funerale a dire ad un suo amico commissario “Io a quel ragazzo gli devo la vita”.
Sui moventi dell’assassinio di Nino Agostino e di sua moglie è calata una delle tante cappe oscure che hanno contraddistinto la lotta contro Cosa Nostra in Sicilia. Lo stesso Pm Nino Di Matteo sostiene come ci si scontri costantemente con innumerevoli reticenze da parte di uomini delle istituzioni, nonostante non ci sia un segreto di stato sul caso dei coniugi Agostino.
Dopo il duplice omicidio fu Arnaldo La Barbera, ex-questore di Palermo, ad indirizzare le indagini verso un movente “passionale”, sequestrando tutto il materiale dell’inchiesta di Agostino nonché quanto trovato a casa dei due novelli sposi. Nella squadra investigativa ebbe un ruolo il funzionario di polizia Guido Paolilli, tra l’altro amico e collega di Nino, testimone in favore di Bruno Contrada, allora capo dei servizi segreti, nel processo a suo carico. Paolilli, poi indagato per favoreggiamento nel 2011, venne intercettato mentre confessava al figlio di aver distrutto le carte nella casa dei coniugi Agostino. Lo stesso Paolilli confessò al padre di Nino che “la verità non gli avrebbe fatto piacere, e che durante la terza perquisizione nella casa del figlio, aveva requisito 6 fogli che avrebbe voluto fargli leggere.” Documenti mai letti da Vincenzo Agostino che, nelle sue testimonianze, ha ricordato agli inquirenti di un biglietto trovato nel portafogli del figlio nel quale c’era scritto “Se mi succede qualcosa, andate a cercare nell’armadio di casa». L’armadio, nel corso delle due perquisizioni accertate dalla Questura, fu trovato ufficialmente vuoto.
Nell’agosto 2011 oltre a Paolilli è stato indagato Antonio Daloiso, ex-capo di gabinetto dell'Alto Commissariato antimafia, ex Prefetto di Messina e Reggio Calabria oggi in pensione e tale Aiello - agente di polizia - anche lui in pensione. Sembra che entrambi avessero contatti con il boss Gaetano Scotto. L’iscrizione nel registro delle indagini della Procura di Palermo è arrivata grazie alla testimonianza di Ignazio D’Antone, condannato per mafia e ancora oggi detenuto, detto “Il bruciato” e del pentito Vito Lo Forte detto “lo zoppo”, che avrebbe riconosciuto Aiello in una foto del 2009.
Secondo Lo Forte sia Daloiso che Aiello facevano parte di un complotto per uccidere Falcone nella sua casa di mare nell'Addaura e che Agostino era uno “007” infiltrato, ucciso per aver aiutato Emanuele Piazza a sventare l’attentato al giudice - anche lui giovane agente del Sisde che si occupava di scovare i latitanti, assassinato nel marzo del ’90 ed il suo corpo mai più ritrovato. Tra le altre testimonianze quella del pentito Oreste Pagano, che racconta di aver saputo da terzi, nel corso di un matrimonio in Canada, che il boss Gaetano Scotto aveva ucciso Agostino e la moglie poiché stava indagando sui rapporti tra le cosche ed alcuni componenti della questura. “E’ stato ucciso – ha dichiarato Pagano - perché voleva rivelare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo. Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei.”
La verità su questo duplice assassinio, forse dimenticato dai media, probabilmente non verrà mai alla luce. Troppe le resistenze, i depistaggi, il calo di attenzione dell’opinione pubblica e della stessa magistratura dopo venticinque anni. Ed allora oggi si festeggia la loro vita o quella che sarebbe stata con i loro venticinque anni di matrimonio. Probabilmente il modo migliore per ricordare Antonino Agostino e Ida Castelluccio, dato che ormai gli assassini potranno godere della prescrizione. A ricordarci di queste due giovani vite resta la tenacia dei genitori di Antonino Agostino ed i capelli e la barba bianca da patriarca biblico di Vincenzo Agostino che sicuramente incontrerò nuovamente in Via D’Amelio per ricordare ancora una volta il giudice Borsellino.
L’uomo dai lunghi capelli e dalla barba bianca è Vincenzo Agostino, padre dell’agente Antonino Agostino che, insieme alla giovane moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi, furono assassinati nei pressi di Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989. Da allora Vincenzo non si è più rasato per protesta, giurando sulla bara del figlio, finché non verrà fuori tutta la verità sulla morte di Nino e di sua moglie. Oggi 1 luglio 2014 la famiglia Agostino ha voluto ricordare i 25 anni di matrimonio di Antonino e Ida avvenuto il 1 luglio 1989, attraverso un’iniziativa pubblica che si terrà nella Parrocchia S. Gaetano in Via Brancaccio. Una cerimonia di festa per celebrare la vita dei due giovani sposi assassinati da Cosa Nostra, attraverso la musica, la poesia, i tanti momenti di preghiera e di lettura e dibattito. Anche a Villagrazia di Carini, sul lungomare Cristoforo Colombo, esiste una targa apposta tre anni fa che ricorda l’uccisione dei due coniugi. Ma che accadde il 5 agosto 1989? Antonino Agostino, detto Nino era un poliziotto ed agente del Sisde, il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, un servizio dell’intelligence italiana in attività fino alla riforma del 2007, quando è stato sostituito dall’Aisi (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna). Una sigla che ritroviamo in tanti scandali politici in cui rimase coinvolta negli anni ’80, i cui vertici comparirono nella lista degli iscritti alla loggia P2.
Quel giorno Antonino non era armato: doveva festeggiare il compleanno di sua sorella in una delle tante ville e case di campagna che fanno di Villagrazia un enorme agglomerato urbano senza nomi di strade, numeri civici e servizi. Quel giorno mentre si apprestava ad entrare in una di quelle ville insieme alla moglie Ida, un gruppo di sicari in motocicletta cominciò a sparare contro la coppia. Agostino venne colpito da vari proiettili, mentre la Castelluccio venne ferita da un solo colpo: quando i famigliari si precipitarono fuori dall’abitazione erano entrambi già morti. Agostino stava indagando sul fallito attentato dell’Addaura, una fascia di Palermo che circonda Monte Pellegrino sul lato mare, dove risiedeva il giudice Falcone per il periodo estivo. La mattina del 21 giugno 1989, gli agenti di polizia addetti alla protezione personale del giudice Falcone trovarono 58 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all'interno di un borsone sportivo, accanto ad una muta subacquea e delle pinne abbandonate, nella spiaggetta antistante la villa affittata dal magistrato, che aspettava i colleghi svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann con cui doveva discutere sul filone dell'inchiesta "pizza connection" che riguardava il riciclaggio di denaro sporco. L'esplosivo era stipato in una cassetta metallica, ed era innescato da due detonatori. Secondo le indagini dell'epoca, alcuni uomini non identificati piazzarono l'esplosivo, il quale non esplose: all'epoca ciò fu attribuito ad un fortunato caso (si parlò di un malfunzionamento del detonatore)
Agostino aveva forse scoperto qualcosa di importante su quel borsone-bomba dell'Addaura e per questo è stato eliminato. La notte dell’assassinio, alcuni ignoti "uomini dello Stato" riuscirono ad entrare nell'abitazione dei coniugi defunti e fecero sparire degli appunti che riguardavano delle importanti indagini che stava conducendo l’agente del Sisde. Ai funerali della coppia tenutisi il 10 agosto 1989, erano presenti sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino. Fu lo stesso Falcone, durante il funerale a dire ad un suo amico commissario “Io a quel ragazzo gli devo la vita”.
Sui moventi dell’assassinio di Nino Agostino e di sua moglie è calata una delle tante cappe oscure che hanno contraddistinto la lotta contro Cosa Nostra in Sicilia. Lo stesso Pm Nino Di Matteo sostiene come ci si scontri costantemente con innumerevoli reticenze da parte di uomini delle istituzioni, nonostante non ci sia un segreto di stato sul caso dei coniugi Agostino.
Dopo il duplice omicidio fu Arnaldo La Barbera, ex-questore di Palermo, ad indirizzare le indagini verso un movente “passionale”, sequestrando tutto il materiale dell’inchiesta di Agostino nonché quanto trovato a casa dei due novelli sposi. Nella squadra investigativa ebbe un ruolo il funzionario di polizia Guido Paolilli, tra l’altro amico e collega di Nino, testimone in favore di Bruno Contrada, allora capo dei servizi segreti, nel processo a suo carico. Paolilli, poi indagato per favoreggiamento nel 2011, venne intercettato mentre confessava al figlio di aver distrutto le carte nella casa dei coniugi Agostino. Lo stesso Paolilli confessò al padre di Nino che “la verità non gli avrebbe fatto piacere, e che durante la terza perquisizione nella casa del figlio, aveva requisito 6 fogli che avrebbe voluto fargli leggere.” Documenti mai letti da Vincenzo Agostino che, nelle sue testimonianze, ha ricordato agli inquirenti di un biglietto trovato nel portafogli del figlio nel quale c’era scritto “Se mi succede qualcosa, andate a cercare nell’armadio di casa». L’armadio, nel corso delle due perquisizioni accertate dalla Questura, fu trovato ufficialmente vuoto.
Nell’agosto 2011 oltre a Paolilli è stato indagato Antonio Daloiso, ex-capo di gabinetto dell'Alto Commissariato antimafia, ex Prefetto di Messina e Reggio Calabria oggi in pensione e tale Aiello - agente di polizia - anche lui in pensione. Sembra che entrambi avessero contatti con il boss Gaetano Scotto. L’iscrizione nel registro delle indagini della Procura di Palermo è arrivata grazie alla testimonianza di Ignazio D’Antone, condannato per mafia e ancora oggi detenuto, detto “Il bruciato” e del pentito Vito Lo Forte detto “lo zoppo”, che avrebbe riconosciuto Aiello in una foto del 2009.
Manifestazione Agende Rosse - Via D'Amelio - Palermo 2012 |
La verità su questo duplice assassinio, forse dimenticato dai media, probabilmente non verrà mai alla luce. Troppe le resistenze, i depistaggi, il calo di attenzione dell’opinione pubblica e della stessa magistratura dopo venticinque anni. Ed allora oggi si festeggia la loro vita o quella che sarebbe stata con i loro venticinque anni di matrimonio. Probabilmente il modo migliore per ricordare Antonino Agostino e Ida Castelluccio, dato che ormai gli assassini potranno godere della prescrizione. A ricordarci di queste due giovani vite resta la tenacia dei genitori di Antonino Agostino ed i capelli e la barba bianca da patriarca biblico di Vincenzo Agostino che sicuramente incontrerò nuovamente in Via D’Amelio per ricordare ancora una volta il giudice Borsellino.
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