mercoledì 31 luglio 2013

Compagna Luna, incontro con Barbara Balzerani


“L’immensa maggioranza dell’umanità è stata condannata all’oblio obbligatorio. Il sistema universale del potere le proibisce di ricordare, perché le proibisce di essere.”
Eduardo Galeano

Quando ho accettato l’invito di Italo Di Sabato, presidente dell’Osservatorio sulla repressione, a presentare la ristampa di “Compagna Luna”, autobiografia di Barbara Balzerani, mi sono subito reso conto della gravosità dell’incarico e delle difficoltà che avrei incontrato. Ho dovuto infatti ripercorrere dolorosamente quegli anni non solo attraverso i miei ricordi e le mie convinzioni ma confrontarmi necessariamente con la storia.
Barbara Balzerani è stata militante e dirigente della colonna romana delle Brigate Rosse. Ha partecipato a diverse azioni armate, compresa la strage di via Fani. Al termine di una lunga latitanza, nel 1985 è arrestata e condannata a sei ergastoli. Sconta venticinque anni di carcere. Oggi è libera.
 “La luna è stata spesso la mia unica compagna in questi anni. Poi la Luna e la donna hanno da sempre avuto un rapporto speciale e controverso.” Il titolo della biografia di Barbara Balzerani viene giustificato in modo quasi adolescenziale dalla sua autrice, seduta al centro del palchetto allestito nella sala del Teatro del Loto di Ferrazzano.
“Bel paese, molto pulito, somiglia tanto a paesi che conosco del frusinate e della Ciociaria, ecco vedi questo vicolo in discesa, sono proprio identici – così comincia la conoscenza di Barbara Balzerani, passeggiando lungo le stradine ordinate del centro che svetta sul capoluogo. “Quando sono uscita dal carcere ed ho rincontrato Roma ho avuto paura delle auto, troppe auto, il casino, i rumori, il traffico…”. E’ una donna minuta Barbara, i suoi occhi si illuminano quando parliamo di città che ha visitato dopo la sua condanna: “In particolare mi ha stregato Palermo, città magnifica – dice Barbara – con le strade di Ballarò che hanno le targhe delle strade  in tre lingue, sono quasi caduta in ginocchio per l’atmosfera che si respirava nello Spasimo: poi quando mi sono presentata in Commissariato per la firma consueta in caso di spostamenti, con quel casino non solo nessun funzionario si è fatto vivo ma il permesso mi è stato firmato frettolosamente da un piantone. Praticamente ero libera.” 
“Compagna Luna” è il racconto vivo e doloroso di un’esperienza umana e politica che dal passato  riporta al presente memorie e frammenti di vita di una donna che, in un tempo specifico attraversato da questo paese circa quaranta anni fa, ha praticato la propaganda armata e la cosiddetta guerra civile dispiegata.
Scelte che hanno determinato, in modo forte, questo nostro presente e quello di chi in quegli anni è stato anche solo sfiorato da quelle azioni.
Scelte personali e collettive sulle quali la politica e la società civile non hanno mai trovato la lucidità necessaria per un confronto, delegando tutti gli aspetti alla magistratura e le sue immagini e riflessioni alla letteratura criminale di questo paese.  
“Che lingua parlavo a quei tempi? La lingua che parlavano tutti in strada, nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche. Sono nata nel 1949, mia madre era veneta, contadina, venuta a lavorare giù in fabbrica a Roma. Rientrava la sera dalla fabbrica, io vivevo libera. Poi la scuola, gli echi lontani degli scontri di Valle Giulia, l’impegno politico.”
E’ luogo comune affermare che la storia la scrivono i vincitori. Ma esiste una letteratura dei vinti, quella in cui “Compagna Luna” entra a farne parte a pieno titolo.
“Si, Tabucchi fece di tutto per farmi cacciare dalla Feltrinelli e ci riuscì, nonostante avessi venduto oltre ottomila copie in pochi mesi.  Non voleva che io entrassi a far parte della sua categoria. Non ne avevo la titolarità e la nobiltà secondo lui.”
Oltre alla storia i vincitori scrivono anche le leggi. Dopo l’omicidio di Aldo Moro e la strage di Via Fani per mano del gruppo di fuoco delle Brigate Rosse arrivò la legislazione emergenziale, il carcere duro, la tortura, ma più in generale la politica aprì al Reganismo.  Quegli anni portarono a quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia. Dopo anni di lotte politiche e sociali venne favorito un processo di arretramento dei diritti dei lavoratori con  il referendum sulla scala mobile, il simbolo della marcia dei trentamila, la fabbrica integrata. Si passò dall’idea di compromesso storico all’attivismo consociativista del PCI, prima della caduta del blocco sovietico e la stagione di Mani Pulite.
“In Italia non sparavamo solo noi. Si sparava in strada durante le manifestazioni, sparava la polizia. E’ pur vero che le lotte di quegli anni portarono alla conquista di diritti inimmaginabili … non solo quelli dei diritti civili ma dentro le fabbriche i capi reparto, i capi del personale, camminavano raso al muro. Erano saltati gli equilibri che finora avevano caratterizzato quei luoghi, non c’era più timore.” L’errore storico della Brigate Rosse fu quello di credere che la lotta armata riuscisse a resuscitare la Resistenza tradita.
“Errore? Analizzando quello che vedo oggi è evidente che abbiamo commesso quell’errore. Ci stiamo cannibalizzando l’un l’altro, il clima, le risorse, l’energia, le battaglie di ieri appaiono diverse da quelle di oggi e la lotta dei valsusini contro i lavori per la Tav è l’emblema delle lotte odierne. Sono convinta che esista oggi una sorta di ottundimento generalizzato. Non so, il fatto di essere stata in carcere, non aver vissuto gli anni di Berlusconi, dell’avvento del potere della comunicazione televisiva, mi permette forse di vedere il presente con maggiore distacco.”
Per la generazione del ’68 la cinematografia è stata uno straordinario strumento di socializzazione: proprio negli ultimi dieci anni si è tentata una rilettura di quell’esperienza tra storia ed intimità dei suoi personaggi. Tra le tante pellicole entra in gioco “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio, tratto dalle testimonianze di Laura Braghetti.
“Non mi è piaciuto, nonostante la mia stima per i lavori di Bellocchio a partire da “I pugni in tasca”. Troppe forzature… per la mia esperienza non immagino che in un covo pieno di latitanti, con tutte le precauzioni del caso che tenevamo, ci si metta a parlare ad alta voce e a gridare, oppure a fare i cortei interni. Eppoi non parlavamo mai di politica a tavola… parlare di strategie mentre mangi i rigatoni alla matriciana?...No, noi non eravamo così.”
L’uso delle armi, la convivenza quotidiana con strumenti atti a sopprimere la vita umana, l’azione di Via Fani, i tanti racconti, le ricostruzioni ufficiali, i dubbi, le interpretazioni.
“Non andammo mai, a differenza di altre formazioni di altre nazioni, ad esercitarci fuori dall’Italia. Anzi, eravamo tenuti a bada per le munizioni da un genovese, uno dal braccino corto. Quella di via Fani, chiamala come vuoi, è stata una cosa che è riuscita quella volta e solo quella volta, un’azione compiuta da gente normale: tre artigiani, un insegnante, due studenti. Nessun professionista, nessun personaggio particolare: vi sembrerà impossibile ma abbiamo fatto tutto noi.”
La radicalità di quelle scelte ha coinvolto almeno due generazioni di italiani che oggi hanno superato i sessanta anni. Il ’68 scoppio a venti anni circa dalla fine del secondo conflitto mondiale, dopo l’oppressione nazifascista, in un panorama geopolitico dai contorni ancora oscuri. L’Italia era l’unico paese del Mediterraneo che, a differenza di Grecia, Spagna e Portogallo, non era succube di dittature di tipo militare. Il timore di colpi di stato, proprio dopo la promulgazione dello statuto dei lavoratori (1970), è oggi descritto sulla storiografia ufficiale grazie alle testimonianze e all’apertura di archivi dello Stato. La strage nella Banca Nazionale dell’Agricoltura aprì un conflitto drammatico dentro le istituzioni democratiche italiane senza precedenti, nel quale settori dello Stato risposero a richiami antidemocratici, provenienti da interessi politici italiani e stranieri. Allo stesso tempo il movimento operaio nella sua autonomia, il movimento studentesco e larga parte degli intellettuali e del mondo della cultura riuscirono in un percorso sociale e politico che, solo nelle sue avanguardie estreme, approdò alla lotta armata e alla scelta (rivelatasi errata) di aprire un conflitto militare per la risoluzione del conflitto di classe. Quella visione strategica, quella opzione che non aveva epigoni nel mondo occidentale fino a quel momento, contribuì insieme alla mutazione genetica del capitalismo, ad annullare e disgregare quell’idea di cambiamento che per dieci anni aveva infiammato e mutato, in senso progressista, il Paese.
“Compagna Luna” è un libro che da Piazza Fontana fino a Via Fani e alle sue atroci conseguenze racconta l’esperienza  personale di Barbara Balzerani. Non è un libro sulle Brigate Rosse e sulle sue azioni. “Non potrei essere io a farla. È solo una parte di quanto ho vissuto e di come”. Tanto è stato scritto su questo volume sin dalla sua prima uscita nel 1998. A quindici anni dalla ristampa per Derive Approdi, casa editrice indipendente, Barbara ha pagato il suo conto con la giustizia e oggi da donna e scrittrice  libera si appresta a vivere il suo futuro con la matura consapevolezza che il suo passato non l’abbandonerà.
“Provare ad azzerare è impossibile. Ognuno ha la sua storia e tentare di staccarsela di dosso è praticamente non esistere. Ma come coniugare l'esserci tutta intera senza ritrovarmi continuamente fuori misura? In una diversità che sembra incapace di comunicare. Che provoca sguardi sfuggenti o risposte ai limiti della banalità. … Ma stavolta non posso limitarmi a scappare e rifugiarmi nel limbo del mio inaccessibile. Come ho imparato a fare da quando l'attesa dell'incontro col fuori si é trasformata nello spaesamento di ogni ritorno difficile. Sono esposta, perché da quello che mi piomba addosso non posso fuggire. Come sempre é impossibile dalla involontaria consuetudine dell'accadere. Potrei andare dovunque e accadrebbe lo stesso, perché adesso so che sta accadendo. No, non ci sono mani amiche che possono placare, né occhi amorevoli rassicurare. Non c'è neanche parola che possa comunicare e far condividere. Sono sola e senza misure. In mezzo a tanta gente e totalmente in balìa.”

Copyright Il bene Comune agosto/settembre 2013 



sabato 6 luglio 2013

UNA DOMENICA SULLA TRANSIBERIANA D'ITALIA



Esco di casa, arrivato in fondo alla strada riesco a scorgere sulla destra in lontananza i bianchi monti della Maiella, al centro il massiccio di Frosolone rovinato dalle pale eoliche, subito dopo nelle belle giornate anche le Mainarde e poi quasi posso toccare, a sinistra, con mano, il Matese con l’oscuro Monte Mutria e l’innevato Monte Miletto. Mi ritengo un campobassano fortunato e spero di esserlo ancora per tanto tempo ancora, almeno fino a quando non costruiranno l’ennesimo palazzone che potrebbe oscurarmi questo incantevole paesaggio.
La meta della mia destinazione in una freddissima domenica di maggio sarà il Parco nazionale della Majella per raggiungere Sulmona, la sua “capitale” che già conosco per esserci stato nel febbraio di venticinque anni fa, trasportato su un camion militare scoperto dalla caserma del 123° Battaglione Chieti durante il servizio della leva militare per esercitarmi a sparare e fare la guerra simulata nel poligono distante pochi chilometri fuori dall’abitato.
Da Campobasso parte infatti il treno della Transiberiana d’Italia, così chiamata per essere la tratta ferroviaria tra le più antiche e, dopo quella del Brennero, la più alta del nostra Paese con i suoi 1268 metri sul livello del mare della stazione di Rivisondoli – Pescocostanzo, attraversando 50 km in ambiente MAB e 70 km nel Parco Nazionale della Majella. In realtà la Transiberiana ha origine da Isernia, il treno diesel delle Ferrovie Italiane raccoglie solo una ventina di visitatori dal capoluogo regionale oltre ai simpatici stagisti dell’Istituto alberghiero di Vinchiaturo per poi raggiungere la cittadina pentra, punto di raccolta delle numerose comitive campane, laziali e isernine che riempiranno tutte le carrozze, insieme al personale dell’organizzazione.
Un percorso che si snoda tra le montagne dei vecchi “Abruzzi” che vuole riappropriarsi di identità una volta comuni, di progetti che la modernizzazione ha definito troppo rapidamente “rami secchi” e che oggi, in tempi di slow tourism sembra essere un buon mezzo per ridare vita a località da favola ma sempre più spopolate e isolate. Inaugurata il 18 settembre del 1892 la linea faceva parte di un progetto che, attraversando la dorsale appenninica avrebbe collegato le cosiddette “terre di mezzo” e Napoli con il completamento della Caianiello – Venafro – Isernia il 21 marzo del 1894. Sopravvissuta alla guerra, il traffico sulla linea con la diffusione delle auto private e degli autotrasportatori per merci e bestiame comincia a diminuire: agli inizi degli anni ’70 la trazione a vapore scompare definitivamente per far posto al diesel ma nel frattempo numerose stazioni chiudono per essere gestite a distanza. Sporadiche iniziative turistiche vengono comunque attuate ma una serie di difficoltà ambientali e tecniche fanno abbandonare presto i progetti intrapresi. Tra il 1994 ed il 1995 vengono chiuse le biglietterie, la gestione merci e varie stazioni vengono dismesse. Alle fine del 2010 chiude il tratto da Isernia a Castel di Sangro e dopo un anno chiude anche il tratto abruzzese Castel di Sangro – Sulmona.
Lo scorso anno arriva il miracolo: la linea riapre con i treni turistici organizzati  da Transita con il supporto dell’Associazione Le Rotaie Molise ed il sostegno e contributo del Parco Nazionale della Majella attraverso il Por Fesr Abruzzo 2007 – 2013 “Valorizzazione dei territori di montagna” nonché della Provincia di Isernia. Una scelta, quella della Regione Abruzzo, che conferma una strada intrapresa da decenni che vede ormai il settanta per cento del suo territorio destinato a parchi regionali e nazionali, a differenza del Molise che sull’ambiente e sul turismo non ha mai puntato veramente a causa di scelte politiche scellerate, imponderate, mai coraggiose e infine perdenti.
Lasciata la stazione di Isernia il treno raggiunge località conosciute come Carpinone, Sessano, Pescolanciano, Carovilli, Vastogirardi, San Pietro Avellana. Mete che tanti molisani conoscono per le bellezze ambientali e per la bontà di formaggi, latticini e carni. Purtroppo il treno pieno ed il riscaldamento producono una sorta di condensa sui vetri della carrozza che non danno giustizia al paesaggio, in compenso la socialità aumenta e si comincia a parlare, a confrontarsi con il proprio vicino. Una simpatica signora di Roccamandolfi, ora pensionata, mi racconta della sua infanzia su quella splendida montagna tra cavalli bradi, pastori, raccolte inenarrabili di funghi porcini e di libertà che solo chi ha vissuto da bambino nei nostri paesi ha potuto vivere. La sua militanza nella sinistra isernina, i volantinaggi, la passione politica ora diventata disincanto e lontananza.
Intanto il treno penetra nell’Abruzzo in una serie di curve per raggiungere Castel di Sangro, rientrare nel Molise a Montenero Valcocchiara e toccare Alfedena nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, la stazione di Sant’Ilario del Sangro e poi la celebre Roccaraso, famosa meta di sport invernali. Intanto tra i sedili passa il carrello che distribuisce pane, pecorino, fave fresche ed un buon bicchiere di vino che ci rinfranca stomaco e spirito. E’ la volta di Rivisondoli – Pescocostanzo, il punto più alto della Transiberiana d’Italia: uno dei ragazzi dell’organizzazione ci racconta con fare simpatico le caratteristiche della linea con le sue 58 gallerie (la più lunga misura oltre 3 km), 103 opere d’arte principali tra ponti e viadotti, 374 opere d’arte minori tra acquedotti, ponticelli e paravalanghe e 21 stazioni comprese quella di Isernia e di Sulmona. La prima sosta di quasi quaranta minuti è fissata alla stazione di Palena, porta d’ingresso del Parco della Majella. Qui ci sgranchiamo le gambe, aspirando a pieni polmoni l’aria gelida di montagna, approfittando del bar per un caffè e poter acquistare i prodotti tipici della zona (il famoso aglio rosso di Sulmona) all’interno delle strutture del Parco appositamente aperte per i circa 250 visitatori della Transiberiana d’Italia. Conclusa la pausa si ritorna in vettura per raggiungere Campo di Giove e le sue abitazioni stile alpino, ancora vuote in attesa del periodo estivo e dopo una serie di curve nei boschi e nella vegetazione di montagna arriviamo a Sulmona.
Dinanzi alla stazione una vecchia locomotiva a vapore ci ricorda di tempi andati e di coraggiosi ferrovieri, macchinisti e operai che su treni scoperti alimentavano la caldaia con il carbone con la forza delle braccia.
Nella cittadina famosa per i deliziosi confetti notiamo un centro storico curato e vivo di negozi ed attività artigianali. “Noi il nostro centro storico non l’abbiamo abbandonato” ci dice la guida con fare orgoglioso. Nonostante l’ora infatti troviamo aperti bar, ristoranti e i tanti negozi di confetti colorati che confezionati in forma di fiori e nei più svariati gusti, si possono acquistare, tutto sommato, a prezzi abbordabili. Sulmona ci accoglie con dolcezza, quasi indolenza, poche le automobili, mentre sugli spigoli dei palazzi noto le telecamere di controllo. Il tempo di buttare giù un panino, una bibita ed una caffè, visitare una parte del centro storico e siamo già di ritorno nel meeting point fissato dall’organizzazione per avviarci alla stazione tramite gli autobus navetta. Turismo lento, dicevamo. Così come è lento il ritorno a Isernia, contrassegnato da numerose pause del treno a causa del dispositivo gps che ci costringe a frenare. Motivo in più per ridare lo sguardo alle montagne, ai boschi, ai pianori di erba verde e fresca e per stringere amicizia con i vicini, continuando la chiacchierata iniziata all’andata. Gli argomenti sono comuni: come è cambiata Isernia, l’apprezzata vivacità culturale di Campobasso, i personaggi politici vecchi e nuovi che hanno caratterizzato alcune scelte nella nostra regione, la speranza di un rilancio dell’economia molisana. Un viaggio che ridona serenità, da affrontare magari con una comitiva di amici, tra un tressette, una chiacchierata ed un bicchiere di vino, sbalordendosi di fronte ai colori della montagna in tutte le sue stagioni, cercando di ritrovare quel senso di comunità perduto che abbiamo accantonato per una sempre più grigia modernità e la nuova solitudine da social network.
Link utili
Organizzazione e prenotazioni 327 5843233
Informazioni 366 5410667

martedì 30 aprile 2013

La Media War siriana e la sicurezza dei giornalisti: l’esperienza di Amedeo Ricucci e la realtà di Domenico Quirico

L’esperienza del giornalismo di guerra è stata al centro di due panel programmati all’interno dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Le narrazioni condotte dalla freelance Susan Dabbous e dal giornalista Rai Amedeo Ricucci, recentemente rapiti da un gruppo radicale islamico in Siria sono state confrontate nell’ambito delle azioni condotte dall’International News Safety Institute (Insi), organizzazione che da dieci anni promuove le migliori pratiche di sicurezza per i giornalisti impegnati sulla front line, offrendo formazione e spesso anche pressione sui governi affinché supportino il giornalismo indipendente. Insieme a loro il decano del giornalismo di guerra Paul Wood (BBC News), Ruth Sherlock (The Daily Telegraph) e Richard Sambroock, direttore executive board dell’Insi per affrontare il tema della sicurezza dei giornalisti impegnati sul fronte e discutere sull’effettiva veridicità delle fonti quando è in gioco la propaganda delle fazioni in un quadro di guerra. Nel corso del dibattito è stato forte il richiamo di Amedeo Ricucci circa il tema della sicurezza, soprattutto per quanto riguarda i giornalisti freelance che, a fronte di tanto entusiasmo restano spesso vittime dei conflitti o subiscono violenze, sequestri e furto delle attrezzature. “Mi contattano spesso – ha detto Ricucci – giovani freelance italiani che vogliono sapere notizie o informazioni circa le zone migliori da seguire, quali strade percorrere, quali mezzi per entrare in Siria. La prima domanda che gli faccio è se sono muniti di giubbotto antiproiettile e casco protettivo. Queste sono le prime cose da portarsi dietro se si intende stare sulle varie front line.” Differente anche il panorama delle assicurazioni. “Io come giornalista Rai – ha proseguito Ricucci - sono protetto da diversi tipi di assicurazioni sia personali che sulle attrezzature che porto dietro. Quando ci hanno rapito ci hanno sequestrato tutto: io ho perso oltre 30 mila euro di attrezzature ma era materiale Rai assicurato. Per gli altri che erano con me invece la cosa è stata diversa perché hanno perso tutto in un solo colpo”.  Completamente differente approccio della BBC nelle zone di conflitto: la storica società britannica si avvale di personale di sicurezza armato per scortare i corrispondenti in zone di guerra e le loro azioni nei villaggi, ad esempio, non vanno oltre i quindici minuti. “Abbiamo valutato attraverso l’esperienza – ha riferito Paul Wood – che quindici minuti siano validi per riprese sicure e impediscono l’organizzazione di un sequestro lampo, ad esempio. “ Determinante, inoltre, sempre nel campo della sicurezza conoscere la geografia dei luoghi da visitare, le culture locali, le lingue, le strade di accesso e le vie di fuga. Parole di elogio sono venute proprio da Ricucci nei confronti della sua collega italo siriana Susan Dabbous: “Susan è stata molto brava anche non essendo una corrispondente di guerra perché nel corso dell’azione del sequestro e nei giorni di prigionia ha saputo trattare con i nostri rapitori. Le hanno trovato nello zaino un pacchetto di sigarette e lei ha negato che fossero sue. Oltre ai vari divieti imposti dal codice coranico, infatti, i nostri rapitori erano anche contro il fumo, nonostante nei paesi islamici fumino tutti, sia maschi che femmine. Inoltre ha chiesto di essere separata dal nostro gruppo tutto al maschile durante la prigionia, un fatto che le è valso il rispetto dei fondamentalisti, oltre al fatto di parlargli senza guardare nei loro occhi. Una serie di accorgimenti che hanno evitato, probabilmente, azioni violente da parte dei nostri rapitori.”

l tema delle immagini e delle fonti, soprattutto nel contesto siriano, hanno avuto risalto in un altro panel che ha visto gli stessi ospiti. La facilità nel trasmettere fotografie e video dalle zone di guerra attraverso le nuove piattaforme digitali, fanno del conflitto in corso in Siria un esempio nuovo ed emblematico della nuova media war.  Con un semplice telefono cellulare è possibile riprendere e spedire dopo pochi minuti immagini che possono essere manipolate dalle parti in causa. Quale credibilità ed autorevolezza, dunque, hanno le immagini riprese da attivisti di fazioni spesso confuse e sconosciute nel conflitto siriano? Siamo di fronte ad una media war, dunque, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Le azioni di propaganda dei mercenari salafiti che stanno violentando quel paese sono spesso filmate con sadismo da parte degli stessi guerriglieri che filmano esecuzioni, sgozzamenti e decapitazioni che vengono poi trasmesse dai canali telematici fino a giungere con facilità addirittura in social come Facebook o Twitter. Una sorta di macabra prova da mostrare per ricevere armi e denaro da parte di principi e uomini d’affare arabi interessati alla caduta di Assad per instaurare uno stato islamico radicale. Altrettanto nuovo l’utilizzo delle immagini da parte della propaganda di Assad giocata proprio sulla consueta abitudine dei banditi islamici di filmare le proprie azioni di guerra. In caso di annientamento del gruppo a causa dell’esercito lealista siriano, quelle stesse immagini vengono poi utilizzate per essere rimontate su una base musicale dei western di Ennio Morricone e trasmesse da Syria Tube. Un modo per dimostrare alla popolazione e ai tanti siriani che vivono nel mondo l’efficienza e la forza delle forze armate siriane nei confronti degli assalitori. 
Intanto soltanto dopo quarantotto ore dopo gli incontri di Perugia, l’Unità di crisi della Farnesina ha reso noto che da circa venti giorni non si hanno più notizie dell’inviato del quotidiano la Stampa Domenico Quirico, 62 anni, uno dei giornalisti italiani più seri e preparati nell’affrontare situazioni a rischio. Negli ultimi anni ha raccontato il Sudan, il Darfur, la carestia e i campi profughi nel Corno d’Africa, l’esercito del signore in Uganda, ha seguito interamente le primavere arabe, dalla Tunisia all’Egitto, è stato più volte in Libia per testimoniare la fine del regime di Gheddafi. Nell'agosto 2011 nel tentativo di arrivare a Tripoli è stato rapito insieme ai colleghi del Corriere della Sera Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina e di Avvenire Claudio Monaci. Nel sequestro veniva ucciso il loro autista e solo dopo due giorni drammatici venivano liberati.  Nell'ultimo anno ha coperto per tre volte la guerra in Mali, è stato in Somalia e ora per la quarta volta è in Siria. Nei suoi primi due viaggi siriani era stato ad Aleppo, dove aveva raccontato i bombardamenti e la prima fase della rivolta. Nell'ultimo aveva invece seguito i ribelli spingendosi fino nella zona di Idlib. "Ha voluto tornare di nuovo per raccontare l'evoluzione di un conflitto che si è allontanato troppo dalle prime pagine dei giornali e che, ci ripeteva, nonostante i suoi orrori non scuote la società civile occidentale", ha scritto Calabresi sul giornale.
"Domenico - ha riferito il direttore de La Stampa - è entrato in Siria il 6 aprile, attraverso il confine libanese, diretto verso Homs, area calda dei combattimenti, per poi spingersi, se ce ne fosse stata la possibilità, fino alla periferia di Damasco. Era partito dall'Italia il 5 aprile per Beirut, dove era rimasto una giornata in attesa che i suoi contatti si materializzassero: la mattina di sabato 6 aprile gli abbiamo telefonato per avvisarlo del rapimento  dei colleghi della Rai nella zona di Idlib. Lui ci ha spiegato che il suo percorso sarebbe stato completamente diverso e che ci avrebbe richiamato una volta passato il confine. Nel pomeriggio, alle 18,10, ha mandato un sms con cui annunciava al responsabile Esteri de La Stampa di essere riuscito a entrare in territorio siriano".
Attendiamo tutti il ritorno a casa di Domenico sano e salvo.

venerdì 5 aprile 2013

“Nulla sarà come prima” - Intervista al segretario regionale della Cgil Erminia Mignelli

di Maurizio Oriunno
Il tavolo dei relatori della manifestazione sindacale
Il voto degli italiani e dei molisani nelle ultime elezioni politiche e regionali ha sancito, pur in mezzo all’ambiguità politica del Movimento Cinque Stelle, un cambio di maggioranza nel bel mezzo di una crisi economica che non attenua a placarsi. Con reattività la Cgil del Molise, a pochi giorni dall’esito delle urne, ha voluto presentare al nuovo presidente della Giunta Regionale Paolo Frattura e ai presidenti di Assindustria e Unioncamere, il Piano del lavoro per il Molise. Un documento agile nel quale il sindacato traccia una sorta di strada maestra da intraprendere per ogni settore e sul quale, nel corso della partecipata assemblea dei dirigenti e dei quadri sindacali, c’è stato il sostanziale assenso delle parti chiamate in causa.
Ogni mese giungono dati sulla crisi sempre più drammatici: nel 2012 solo in Molise la Cig è aumentata, rispetto all'anno precedente, del 101,91%: un dato, questo, che risulta essere in assoluto il più alto in Italia.  Disarticolando il dato per settore si registrano aumenti altrettanto preoccupanti: legno +302,77%; alimentari +1.159,91%; meccaniche + 182,05%; vestiario, abbigliamento e arredamento + 46,88%; chimiche + 98,32%; pelli e cuoio + 212,39%; edile + 345,31%.
Anche il numero di aziende che ha richiesto la Cigs è aumentato del 27,78%: il dato peggiore del Paese dopo la Sicilia. La stessa Cassa Integrazione Guadagni in Deroga, che è cresciuta del 62,77%, ha superato tutte le regioni italiane ad esclusione dell'area territoriale siciliana.
“La condizione del Molise – afferma la Cgil - si innesta su una crisi nazionale gravissima e dai risvolti incerti: basti pensare che da quindici anni non si registra un aumento della produttività, mentre, nel contempo, il profitto è stato dirottato sulle rendite finanziarie ed immobiliari. Dinanzi questi dati l'intera classe dirigente deve acquisire la consapevolezza della
drammaticità del momento: una dimensione che impone di rivedere le strategie di
intervento rispetto ad un declino che rischia di divenire irreversibile.” Le aspettative, le richieste, le proposte, i dubbi del sindacato sono condensati nelle risposte del segretario regionale della Cgil Erminia Mignelli.
All’insegna di una nuova stagione politica che arriva dentro una crisi economica senza precedenti l’unica parola d’ordine possibile sembra essere  “partenariato”.
 
“La nostra prima richiesta nei confronti del nuovo governo regionale è la modifica radicale della metodologia del confronto.  Nel 2007 siamo stati chiamati a sottoscrivere un patto con il governo Iorio che non a dato mai frutti poiché non c’è stato mai confronto vero tra le parti in causa ma soltanto una presa visione delle decisioni prese in altre sedi.  Per noi  confronto significa riconoscimento delle rappresentanze sociali che sono portatori di interessi,  vogliamo essere interlocutori riconosciuti per costruire insieme un percorso che possa dare delle possibili soluzioni.  Siamo coscienti che situazione è drammatica, l’unica cosa certa è che nulla sarà come prima, qualsiasi ipotesi di risultato è azzardata ed il momento, dunque, esige un comportamento diverso da parte di tutti quanti.  Proponiamo al Governatore di riscrivere quel patto disatteso nel 2007 ma soprattutto di rispettarlo.”
Proviamo dunque a scrivere un percorso di interventi partendo dalle situazioni di crisi più evidenti come il comparto dell’edilizia, tenendo conto che la realtà dell’edilizia abitativa nei maggiori centri è scoppiata a fronte di un eccessivo deprezzamento delle unità immobiliari. Quali soluzioni portate al nuovo esecutivo?
 
“Il primo comparto a risentire della crisi è stata proprio l’edilizia. Se partiamo dal 2008 possiamo parlare di circa diecimila addetti  fuoriusciti,  di cui 3000 solo nell’ultimo anno. Tenendo conto del fatto che abbiamo ancora aperto il cantiere della ricostruzione si possono immaginare i numeri reali del  fenomeno.  La questione in questa regione è che le risorse per l’edilizia non sono state programmate e sono state utilizzate male a partire dalla ricostruzione.  Non si sono ricostruite le case ma si sono fatte opere mastodontiche, scuole che non servono in quell’area del territorio oppure piscine e quant’altro.  Le risorse destinate alle ricostruzione utilizzate con l’articolo 15 e se pensiamo anche all’alluvione del 2003 sono state utilizzate in tutto il Molise non per favorire la ripresa di quelle aree. Così come il bubbone scoppiato a Campobasso con l’edilizia residenziale frutto di un mancato recupero urbano serio, così come ci sono imprese che non si vedono liquidati gli appalti dalla pubblica amministrazione, nonostante abbiano pagato tributi e liquidato le spettanze ai lavoratori. “
Mi permetta una provocazione: come sindacato non auspicate dunque la costruzione dell’autostrada del Molise per risolvere un problema che ha messo in ginocchio migliaia di lavoratori e di famiglie? 
 
“Il Molise ha bisogno di infrastrutture utili al territorio. Se l’autostrada deve servire ad isolare ulteriormente questa regione e non a mettere in collegamento le aree interne e più marginali del territorio allora non serve.  Servono infrastrutture che permettano tempi di collegamento celeri  ma serve soprattutto che la regione abbia la banda larga: il mondo viaggia ad altre velocità e non possiamo permetterci ulteriori ritardi in questo campo.”
Passiamo invece alle due più gradi contraddizioni degli ultimi anni ovvero Zuccherificio del Molise e Solagrital – Gam – Arena.  Quali soluzioni sono state elaborate? Una soluzione può essere rappresentata dalle politiche di cooperazione?
 
“Premetto che il sistema produttivo molisano è imploso tutto.  Interi nuclei industriali in crisi come Venafro, l’indotto metalmeccanico, il tessile con ITR. Diverso il discorso per il settore agroalimentare molisano perché riteniamo sia l’unico settore ad esprimere ancora potenzialità per una semplice ragione: il nostro territorio si presta al ragionamento di filiera e dobbiamo affermare, purtroppo, che in questi anni si è persa una grande opportunità. Paradossalmente, come tutte le altre realtà che sono state gestire direttamente dalla Regione Molise, sono servite come bacino di voti per questo o quel personaggio politico. Siamo convinti che sia possibile intervenire ancora ma occorre farci una domanda. Quale sistema di impresa in questa regione? Chi fa l’imprenditore?  Noi non abbiamo avuto imprenditori molisani tranne quei pochi nomi riconosciuti da tutti come Ferro o qualche altra realtà. Chiunque è venuto in Molise è venuto a gestire fondi pubblici e quando qualche molisano ha provato a fare impresa, ha preferito la strada della finanza piuttosto che quella dell’impresa.  La cooperazione, in questo senso, può avere una possibilità perché riteniamo che oggi la polverizzazione delle imprese debba portare ad una riflessione: occorre unire.  Il sistema della cooperazione può essere quel sistema di rete o di filiera che può dare una risposta ed offrire un’opportunità di lavoro e di impresa guardando chiaramente all’internazionalizzazione.”
Sanità: in questi ultimi anni maggiori tasse ai cittadini e maggiori tributi alle imprese a fronte di minori servizi. Che dibattito e che proposte ci sono all’interno della Cgil?
 
“Tra gli aspetti che abbiamo messo in fila tra le emergenze da affrontare con il Governo regionale c’è il lavoro ma subito dopo la sanità. Una sanità che drena l’80% del bilancio regionale, che continua ad accumulare disavanzo, che la sua passata gestione comporterà da parte del governo minori entrate. Altro aspetto della sanità riguarda il piano di rientro elaborato dal commissario Filippo Basso che sarà attuato e che sarà pagato pesantemente solo dai cittadini sul quale noi ci opporremo con tutte le nostre forze, cercando anche la condivisione dei cittadini perché pagherà soprattutto la sanità pubblica. Fino a quando non si metteranno in chiaro i rapporti tra sanità pubblica e privata e non si scriveranno in modo chiaro le convenzioni la sanità pubblica sarà sempre in bilico. Noi abbiamo un lavoro molto lungo davanti perché laddove andiamo a razionalizzare gli ospedali dobbiamo costruire al medicina del territorio, ciò implica percorsi e tempi lunghissimi ma soprattutto risorse ed investimenti.”
A questo punto sarebbe auspicabile una mobilitazione in ambito nazionale da parte della politica, del sindacato e del mondo datoriale per salvare il Molise?
 
“Occorre vedere se ci sono le condizioni per l’autonomia di questa regione, questo è il grande punto interrogativo. A parte questo, anche se il Molise diventa un’altra entità, accorpato o no, dentro una macroregione, oggi abbiamo la necessità di aprire con tutti, a partire dal governo regionale , a partire dalle associazioni di categoria, con tutto il partenariato e con tutti i 136 comuni che saranno i primi a non poter far fronte ai tagli, ad aprire con il governo nazionale una vertenza per il Molise, una sorta di task force per affrontare la questione del Molise, nella sua specificità, come regione piccola, come regione che affronta una situazione drammatica sotto tutti i punti di vista. Credo che occorrano metodi diversi: la prossima programmazione europea sarà l’unico strumento di risorse vere che ci saranno nei prossimi anni ma si può ripensare alle zone franche, ai contratti d’area, ai patti territoriali, a progetti interregionali per similitudini, per filiera, per territorio. Come sindacato ci auguriamo che si trovi stabilità nel governo nazionale, senza di quella il Molise ed il governo regionale, anche con tutta la buona volontà, si troverà a partire con tante difficoltà. “
COPYRIGHT IL BENE COMUNE - Anteprima Aprile 2013

domenica 31 marzo 2013

Quello che cantava onliù


Amavo Jannacci ed il suo orizzonte creativo. Rappresenta l'Italia che ho vissuto in bianco e nero, la Milano dalle architetture moderne e dei bar scalcinati, il Milan di Rivera e il cabaret di Cochi e Renato. La Milano delle fabbriche e del lusso e dei film poliziotteschi. Roma o Napoli, ad esempio, non mi hanno mai fatto innamorare come l'idea di Milano creata nella musica, nella poesia, nel teatro da artisti di così tanto talento. L'ultimo è Paolo Rossi. Spero di salutarlo per l'ultima volta il più tardi possibile. Intanto, ciao Dottore.



Quello che canta onliù
Quando capirai che non potrò più camminare, neanche in mezzo alla strada?
quando capirai che non potrò neanche aggrapparmi a quel balcone, che c'è in mezzo alla strada?
quando arriverà la sera e penserai che la mattina dopo non potrebbe arrivar mai
E TU ERI LA' CHE STAVI AL MARE,
CHE BEL FRESCO ONDE EVITARE,
CHE TI FREGA DI UNO CHE
FA FATICA A CAMMINARE
E ALLORA

Quando mi dirai che è proprio roba da imbecilli vomitare proprio in mezzo alla strada,
e quando ti dirò che è per fatica di capirti che mi vien da vomitare, qui giù in strada,
e quando arriverà la sera e penserai che la mattina dopo non potrebbe più arrivare
E TU ERI LA' CHE STAVI AL MARE,
CHE BEL FRESCO ONDE EVITARE,
CHE TI FREGA DI UNO CHE
FA FATICA A VOMITARE
E ALLORA

Portami in fondo alla piazza,
là dove canta il jukebox,
senti se c'è ancora quello che canta Onliù, Onliuuu...
E portami in fondo alla piazza,
fammi cantare con lui.
Accertarsi bene che quello che canta
sia proprio Onliù. Onli
E quando mi dirai che anticamente masturbarsi era peccato veniale.
Quando capirai che umanamente è l'insalata che mancava di sale.
E dopo arriverà la sera e capirai che la mattina dopo non poteva più arrivare
E TU CHE CAZZO SEI VENUTO,
SEI VENUTO VIA DAL MARE,
CHE BEL FRESCO A RIVA STARE,
CHE TI FREGA DI UNO CHE,
E SI VOLEVA RIMBAMBIRE
E ALLORA

Vai proprio in fondo alla piazza,
senti che canta Onliù,
senti se c'è ancora quello che canta Onliù, Onliuuu...
Vai proprio in fondo alla piazza,
và, fatti cantare da lui:
Prima Accertarsi Bene Che Quello Che Canta sia proprio Onliù, Onliuuu...

giovedì 28 febbraio 2013

Dopo Assad il diluvio universale

Intervista a Ouday Ramadan, giornalista italo siriano sull’aggressione terroristica alla Siria



di Maurizio Oriunno

Considerata come la nazione più laica del Medio Oriente, composta da 53 etnie e dove esiste da sempre la libertà di culto, la Siria da circa due anni è un paese insanguinato da una aggressione esterna proveniente dalle frange integraliste appoggiate dalla Fratellanza Musulmana e dai movimenti interni contrari al governo del presidente Bashar al-Assad che chiedono di attuare riforme rispetto agli equilibri interni al paese. Un’aggressione controversa che in Italia è percepita come movimento di liberazione contro una dittatura, grazie anche alla stampa embedded e alle generose veline provenienti dalle agenzie di stampa occidentali e arabe, che rischia di creare invece un nuovo stato islamico radicale, vista la presenza nel Consiglio nazionale siriano (organizzazione che unisce le opposizioni in Siria) dei Fratelli Musulmani e altri gruppi legati all'Arabia Saudita ed al-Qa'ida.

La Fratellanza Musulmana è appoggiata dagli Stati Uniti, sul modello di Egitto e Tunisia, convinti che i Fratelli Musulmani siano un movimento moderato in grado di dare ai Paesi medio-orientali una democrazia islamica non oppressiva. Non sono di questa idea i moderati e i laici siriani che invece temono che dietro alle rassicurazioni della Fratellanza Musulmana si celi in effetti la volontà di creare un grande califfato in Medio Oriente. Scatenando una guerra contro il governo, i gruppi armati in Siria oltre a provocare un gran numero di morti e feriti ed infliggere danni alle infrastrutture pubbliche, non hanno risparmiato le opere storiche del paese. L'ultimo esempio è la moschea degli Omayyadi ad Aleppo, nel nord, e la vecchia bazar della città, entrambi distrutti dai mercenari salafiti di al Qaeda, provenienti da Cecenia, Egitto, Libano, Marocco, Tunisia e sostenuti da paesi come Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Giordania. Secondo l’Unesco, sarebbero già 16 i siti archelogici (della World Heritage List) danneggiati o depredati, di cui tre patrimonio dell’umanità. Tra questi: la moschea al-Omari della città di Dara’a, nel sud, considerate come un testamento alla formazione e alla diffusione della religione e dello stato islamico e il magnifico ‘Krak des Chevaliers’, che Lawrence d’Arabia descriveva come "uno dei castelli medievali meglio conservati che il mondo possa offrire", e che ha subito un bombardamento e diversi furti.

Della guerra civile in Siria, dei suoi risvolti umanitari e degli scenari futuri ne parliamo con Ouday Ramadan detto Soso, italo siriano, consigliere comunale del Prc e poi del PdCI per dieci anni e segretario dell'Unione Inquilini di Cascina per oltre 20 anni, fuggito negli anni ’80 dalla Siria poiché militante del Partito Comunista siriano, ha militato nel Partito comunista libanese e ha partecipato alla lotta armata in Libano. Nella prima metà degli anni ’90 rientra in Siria riavvicinandosi al regime di Bashar, pur non considerandosi vicino al partito Ba’th. E’tornato nel novembre 2011 in Siria ed è stato promotore di due manifestazioni nella seconda metà del 2012 in favore dello stato siriano. Manifestazioni che hanno fatto infuriare la sinistra pacifista anche a causa della presenza di organizzazioni dell’estrema destra italiana che avrebbero strumentalizzato la causa.

Ramadan, nell’Occidente il concetto di democrazia è univoco. Come interpreta invece un siriano oggi tale concetto, sapendo di aver vissuto in un paese governato da un regime autoritario ma aggredito sin dalla sua nascita da forze esterne?

Innanzitutto trovo davvero divertente la convinzione da parte degli italiani che il loro sia un paese democratico e che il loro sia un popolo libero. Gli italiani non decidono più niente in casa loro almeno dalla fine della seconda guerra mondiale, da quando cioè si è realizzata un'occupazione militare da parte degli Stati Uniti d'America. E con la creazione dello stato sionista nel 1947 tutta l'Italia si è trovata imbarcata in una guerra permanente contro popoli con cui non solo in passato non aveva mai avuto conflitti, ma con cui aveva invece scambi commerciali e culturali di vecchia data. La situazione si è trascinata fino ad oggi, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Prima del marzo 2011, data dell'inizio dell'aggressione alla Siria, l'Italia era uno dei più importanti partner commerciali della Siria, così come dell'Iran. Avrebbero potuto essere sviluppati seri progetti di rafforzamento e sviluppo delle relazioni e dei rapporti commerciali tra questi due paesi, con vantaggi per entrambi. Ma poiché l'Italia si trova all'interno di quella banda di predoni che è la Nato, i cui padri padroni sono gli Usa, lo stato sionista e vecchi stati colonialisti storici come la Francia e l'Inghilterra, l'Italia è stata costretta ad appoggiare quella che è stata un'aggressione militare vera e propria. Una guerra a tutti gli effetti, ma non convenzionale. Una guerra che non è condotta da un esercito nazionale, indossante una divisa precisa e ben distinguibile, i cui capi militari sono noti, bensì da miliziani reclutati in ogni parte del mondo, i quali non indossano nessuna divisa, sono spesso difficilmente distinguibili dai civili e obbediscono a comandi occulti e distanti dal fronte di guerra anche centinaia di migliaia di chilometri. Purtroppo, molti dei nostri soldati sono morti in imboscate effettuate da miliziani in abiti civili. E poiché l'Esercito Siriano non spara su qualsiasi cosa si muova e non rade al suolo indiscriminatamente le città come i media occidentali vogliono farci credere, il prezzo pagato dai nostri ragazzi è stato altissimo.

E questa guerra non si combatte neanche in campo aperto, al di fuori delle città, ma all'interno delle città. I mercenari hanno occupato le città, sequestrando i civili, ed usandoli come scudi umani. Certo, ci sono zone in cui una buona parte della popolazione è con i miliziani, ma sono zone limitate, non certo la maggioranza del paese come dicono i collaboratori dei ribelli al di fuori della Siria, le cui menzogne rimbalzano quotidianamente sui principali media di tutto il mondo.

Tornando alla democrazia, Bashar Al-Assad è succeduto al padre nel governo del Paese. Ci è stato chiesto se secondo noi gli italiani accetterebbero che Napolitano, o Berlusconi, lasciassero il potere al proprio figlio. Io rispondo che gli italiani accettano tutti i giorni da 60 anni questo e anche di più. Nel senso che non esiste un politico di spicco in Italia che non abbia piazzato nelle istituzioni e nei centri di potere non solo i propri figli, ma anche mogli, fratelli, sorelle, nipoti, amanti e chi più ne ha più ne metta. Quindi prima di starnazzare per la pagliuzza nell'occhio del vicino, sarebbe bene togliere la trave dal proprio occhio. In Siria esistono un governo e un opposizione, e il Baath non è l'unico partito, ma uno dei tanti ufficialmente riconosciuti. Nel 2000 la nomina di Bashar Al-Assad è stata sottoposta a referendum popolare, che ha confermato Bashar Al-Assad come Presidente della Repubblica Araba Siriana.

E se qualcuno si chiede come mai oggi tutti i siriani sono contro il presidente la risposta è semplicemente che questo non è vero. La maggior parte dei siriani oggi sta con Bashar Al-Assad, e non c'è da stupirsi, visto che pure con tutti gli errori suoi e del suo governo, l'alternativa sono i tagliatori di teste. Non esiste una "parte più aperta" o "moderata" tra i tagliatori di teste. Anche quelli che hanno abbandonato la loro tenda nel deserto per approdare ai loft delle metropoli americane ed europee, quelli che oggi padroneggiano perfettamente la tecnologia ed internet, che giocano in borsa e siedono nei parlamenti, quelli che hanno un sacco di amici tra i pacifisti, quelli che godono di ottime entrature nei principali partiti occidentali, quelli a cui questi partiti fanno riferimento quando si parla di Islam, questi forse una testa con le proprie mani non l'hanno mai tagliata, ma hanno finanziato e sostenuto centinaia di migliaia di mani che hanno torturato ed ucciso, in un'escalation sempre più mostruosa di atrocità, centinaia di migliaia di persone.

Dicono che in Siria c'erano problemi di corruzione. Né più né meno che in ogni altro paese del mondo. Risparmiatemi la barzelletta che nei paesi democratici la corruzione non c'è. E anzi, a volerla dire tutta, siamo coscienti dell'altissimo prezzo pagato dai siriani, ma questa crisi una cosa buona l'ha portata. Ha isolato i corrotti. Tutta la vecchia putrescente e corrotta classe politica, identica a quella che avete voi in Italia, si è unita ai ribelli armati. E contro di loro sono schierati i cannoni dell'Esercito Siriano. Voi in Italia, senza cannoni e con le vostre elezioni dei vostri partiti camerieri della Nato, degli yankees e dello stato sionista, dei corrotti non ve ne libererete mai, anche se siamo in pieno entusiasmo da tempi messianici pre-elettorali. E chi non è tele-rincoglionito di questo se ne rende conto perfettamente. E anche se vogliamo parlare di gente al potere da quarant'anni, l'Italia non può certo salire in cattedra.

Sempre a proposito di democrazia, vorrei ricordare un giornalista siriano, Ahmed Sattouf, di Homs. Questo giornalista era un grande conoscitore, oltre che della situazione siriana, anche della situazione e dei protagonisti della scena politica internazionale. Quando l'ho conosciuto, nel maggio 2011, in occasione dei funerali del martire il Tenente Colonello Ibrahim Al-Abdallah, ho scoperto che conosceva perfettamente l'allora Presidente del Consiglio Berlusconi e le sue posizioni di politica estera. Sempre che di "posizioni" si possa realmente parlare. Perché riguardo alle sue "posizioni" in politica estera, mi verrebbe da fare una battutaccia da toscanaccio quale sono.

Comunque, Sattouf criticava aspramente l'allora governatore di Homs, e aveva ragione. Aveva deciso di candidarsi alle elezioni per la carica di governatore della città di Homs. Dico, candidare alle elezioni. I più svegli avranno già colto il significato di questa parola. Candidarsi vuol dire elezioni, elezioni vogliono dire democrazia. Sapete come è andata a finire? Che siccome Sattouf era sì un critico feroce sia del governatore di Homs, sia del Baath che del governo siriano, ma non era così sconsiderato da lasciare il suo paese nelle mani dei tagliagole in quota Nato, per questo si è opposto al "cambiamento in Siria" manovrato dalle potenze straniere. E per questo lo hanno ammazzato. Pensate l'ironia della sorte. Per anni ha criticato aspramente e si è opposto ai tiranni sanguinari che governavano, e ha avuto sempre salva la pelle. Ha criticato i liberatori, paladini della democrazia e della libertà, ed è stato ammazzato.

Per concludere voglio ricordare che i principali finanziatori del "cambiamento in Siria",ovvero Qatar e Arabia Saudita, sono retti da monarchie. La costituzione dell'Arabia Saudita recita che la famiglia reale saudita è quella regnante, e che solo i membri della famiglia reale possono governare. L'Arabia Saudita è una monarchia assoluta ed ereditaria, che non può insegnare la democrazia a nessuno. Tantomeno il Qatar,che non ha nemmeno una costituzione, in compenso ha un emiro con poteri assoluti. E con l'emiro Al-Thani l'Italia intrattiene fior di scambi diplomatici. Lo stesso Monti, in veste di Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, è andato in Qatar pochi mesi fa, per trattare varie cose che però non si possono sapere perché Monti è tenuto al segreto e mica deve rendere conto ai suoi elettori, visto che non è mai stato eletto.

Vorrei ricordare che la storica griffe italiana Valentino è ora nelle mani di Al-Thani, il quale voleva fare un regalo alla moglie e ha pensato bene di regalargli l'azienda italiana, con tutti i suoi lavoratori e il suo indotto, visto che da anni la first lady veste Valentino.

Punta anche al Milan l'emiro, e finora nessuno ha sollevato obiezioni su una sua possibile acquisizione di una parte della società, e comunque non per il problema della assoluta mancanza di democrazia dello "stato" (che già ci vuole del coraggio anche solo per definirlo tale) qatariota e nemmeno per l'annosa questione della persecuzione sistematica della minoranza sciita del Bahrein sempre da parte del ultrà qatariota in accoppiata in questo con l'ultrà saudita. Dobbiamo forse diventare monarchici in Siria per farvi contenti?

La presenza di mercenari e fondamentalisti sul territorio siriano come è stato accolto dalla popolazione siriana ma anche dalle forze politiche contrarie al regime di Bashar?

I partiti siriani che prima dell'aggressione alla Siria erano oppositori del governo, come per esempio il Partito Comunista Siriano, che esiste in Siria dal 1924, il Partito Nazional-socialista Siriano, o il Partito per Democrazia in Siria, e altri partiti oppositori del governo siriano, oggi sostengono Assad. E come dicevo prima, la maggior parte dalla popolazione siriana in questo momento sostiene il Presidente Bashar Al-Assad. Per quanto riguarda i fondamentalisti, ci sono siriani che hanno sostenuto i miliziani non dall'inizio dell'aggressione, ma da prima, e gli hanno fornito appoggio, base logistica e persino una rudimentale forma di intelligence, chiamiamola così, popolare. Ma la maggior parte dei siriani fino a ieri ha lavorato onestamente, magari anche mugugnando o proprio incazzandosi, giustamente, contro Assad e le scelte del suo governo, e questo è assolutamente legittimo, ma questa maggioranza di siriani non ha certo partecipato o sostenuto l'aggressione armata. E anzi, si può ormai dire che non esiste oggi alcun cittadino siriano che non abbia avuto morti ammazzati all'interno della propria famiglia e il saccheggio anche totale dei propri beni.

Qual è il ruolo di Israele in questo conflitto?

Lo stato sionista è lo stato che più di tutti raccoglie i frutti della guerra alla Siria. La Siria è da sempre impegnata nella difesa della resistenza palestinese, libanese ed irachena, e il suo asse con Iran ed Hezbollah è cosa nota. E nonostante il tradimento di Hamas, Assad ha ribadito, nel suo recente discorso alla Nazione, il suo sostegno alla causa palestinese. Dopo questo discorso, trasmesso in diretta da emittenti di tutto il mondo, la Siria ha visto manifestazioni spontanee di entusiasmo e di sostegno al proprio Presidente in tutto il Paese e anche al di fuori della Siria, in tutto il mondo.

Anche l'alleanza con l'Iran ed Hezbollah è intoccabile. E recentemente si è saldata anche l'alleanza con quella straordinaria nazione che è la Russia, e con il Venezuela guidato da quel gigante che è Hugo Chavez. E anche la Cina si è stretta attorno alla Siria, ponendo per due volte il veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite all'intervento Nato, insieme alla Russia.

Per questo è proprio lo stato sionista il regista principale di tutta questa guerra. Far cadere il governo di Assad, per consegnarlo nelle mani di un governo fantoccio manovrato da loro, sarebbe una sconfitta catastrofica per la maggior parte delle nazioni del globo, ma una grandissima vittoria per lo stato sionista.

Quali responsabilità addebita ai media italiani rispetto a quello che accade nel Medio Oriente e nell’Africa Subsahariana?

Una responsabilità piena, dall'inizio dell'aggressione fino ad oggi.

Le "notizie", assolutamente false, che leggete sui vostri quotidiani principali sono tutte riprese dall'Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra. Il quale non è altro che un tassello fondamentale nella gigantesca opera di disinformazione in merito a tutta la questione siriana. Ogni giorno arrivano veline da questo sedicente osservatorio per i diritti umani a tutti i principali media occidentali, i quali riversano queste false notizie sui loro quotidiani, settimanali, mensili, sui loro telegiornali, trasmissioni di approfondimento, e anche in tutte quelle trasmissioni pomeridiane e serali spazzatura che hanno come unico obiettivo quello di plasmare le coscienze degli italiani e che caratterizzano i palinsesti della tv italiana. Anche tutta l'immensa tiratura di riviste apparentemente apolitiche e innocue come i settimanali femminili, sono arruolati in questa gigantesca opera di falsificazione della realtà. Non farò nomi, ma in questi mesi la questione siriana, con il suo mostruoso presidente trucidatore di bambini, ha trovato spazio nelle cosiddette riviste femminili, tra la cronaca della settimana della moda milanese e i consigli per il primo appuntamento galante con l'uomo dei sogni. Non hanno risparmiato Asma al-Assad, fino a ieri icona di eleganza e simbolo della donna mediorientale moderna, dinamica, non velata, impegnata a fianco del marito, giovane ed illuminato leader siriano. Perché così veniva descritto Assad fino a pochi anni fa dagli stessi giornali che oggi lo descrivono come un mostro. Ma anni fa Bashar Al-Assad veniva ricevuto in Occidente con tutti gli onori, veniva nominato Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana e ricevuto in Campidoglio. E' stato anche arruolato tutto un esercito di persone, attori ed attrici falliti, aspiranti politici senza talento e senza elettori, riciclati politici attaccati disperatamente a qualsiasi poltrona, e tutta una serie di persone chiamate ad impersonare un gigantesco dramma siriano, un esercito di perseguitati da Assad che sono tutti sfuggiti per miracolo ad una morte orribile. Hollywood alla sua più ambiziosa rappresentazione farsesca mondiale. Con davanti un'immensa platea di spettatori passivi, che assorbe ogni parte di questa narrazione inventata come se fosse realtà, e che con i pezzi di questa farsa costruisce le proprie opinioni. Lo ha detto la televisione, quindi è vero. Fabbricanti di mondi paralleli, paradisi artificiali, dove lo spettatore, sempre più rimbambito, perde sempre di più la propria intelligenza e la propria capacità critica e di analisi della realtà. Infatti, si assiste a trasmissioni che mandano servizi su quanto i miliziani salafiti siano buoni, combattenti per la libertà e la democrazia in Siria, ma che nel servizio dopo diventano terroristi nemici della libertà e della democrazia in Mali. Ma sono sempre le stesse identiche persone.

Una volta la sharia islamica è auspicabile come base fondante dello Stato, immediatamente dopo è l'incubo peggiore per i popoli. Basterebbe questo per screditare ogni singola parola che esce dalle loro bocche, su qualsiasi argomento.

Notizie provenienti dalla Tunisia danno per sicuro un trasferimento delle milizie integraliste dalla Siria, dove l’esercito ha rioccupato le principali città e basi, verso il Mali. Qual è la situazione odierna e quali paesi accettano il transito di queste “truppe”?

Questo non deve in alcun modo stupire. Queste orde di miliziani sono una creatura delle centrali di intelligence sioniste e yankees. La stessa Al-Qaeda nasce per volontà degli americani, originariamente con la funzione di combattere l'Armata Rossa dell'Unione Sovietica in Afghanistan. Scopo di questa organizzazione era reclutare miliziani per combattere appunto contro i sovietici, e porre anche le basi per un completo lavaggio del cervello dei popoli di quelle zone geografiche a maggioranza islamica. Al-Qaeda oggi è anche su twitter, e il loro scopo dichiarato, anzi twittato come si dice oggi, è "espellere gli infedeli dal territorio dei fedeli, unire i musulmani e creare un nuovo califfato islamico". Ridisegnare quindi completamente i confini dei paesi islamici, facendo cadere i governi nazionali, soprattutto se laici. E la Siria è un governo nazionale laico, come lo era la Grande Giamairia del martire Moammar Gheddafi, nonché un paese dove convivono pacificamente da moltissimi anni numerose etnie, comunità e confessioni religiose. E in questo i meriti degli Assad sono enormi.

Per Al-Qaeda non devono più esistere nazioni con una propria sovranità, con i propri rappresentanti ed un proprio esercito, ma un califfato islamico sunnita con un califfo dai poteri assoluti. Califfato che idealmente e potenzialmente si estenderebbe a tutto il mondo, ma ovviamente si tratta di un ideale che è senz'altro presente nell'immaginario dei miliziani, ma non certo in quello dei loro capi americani e sionisti, i quali semplicemente sfruttano per i propri scopi l'immaginario di gente analfabeta ed oppressa, di schiavi che sono sì pezzenti, ma con ambizioni da imperatori. Questo progetto è in campo da 60 anni almeno ormai, e purtroppo i risultati si vedono. Paesi come l'Afghanistan, il Pakistan, i Paesi del Golfo e buona parte dei paesi africani sono retti dai seguaci, o forse sarebbe più corretto parlare di schiavi, di questo progetto. Le cosiddette primavere arabe, che hanno portato al potere i Fratelli Musulmani, cioè coloro che hanno il compito di fornire una maschera di presentabilità politica all'opinione pubblica occidentale. Fanno i moderati, tengono conferenze in tutto il mondo, ma i loro padroni sono gli stessi che comandano i tagliatori di teste, e loro stessi non sono certo diversi. Quindi che le truppe vengano trasferite in Mali dalla Siria, è possibile, perché ormai questi miliziani possono muoversi liberamente in buona parte dell'Africa. Basta guardare la cartina geografica. Dalla Siria possono fare il seguente percorso: Giordania, Israele, Egitto, Sudan, o Libia se preferiscono, Ciad, Niger, Mali. Voglio dire, non bisogna essere grandi strateghi militari per rendersene conto. Certo in Mali ci sono gli interessi francesi, e la Francia non cederà spontaneamente il proprio potere a nessuno, ma la lotta per le risorse è sempre aperta in qualunque momento, anche tra occidentali che apparentemente sono alleati, non deve stupire.

In Siria esiste una enclave curda vicina al PKK. Quali relazioni ha con il governo di Assad?

La Siria ha sempre appoggiato il PKK, sin dalla sua nascita. Erano presenti campi di addestramento del PKK in Siria, ed io stesso ho stretto la mano al compagno Abdullah Ocalan nel 1979. Nel 1998 la Siria ha rischiato la guerra con la Turchia per la questione curda e per l'asilo dato ad Ocalan. Egli infatti dovette in quell'anno lasciare la Siria. Scelse Italia, sfortunatamente per lui. Fu Ramon Mantovani di Rifondazione Comunista a curare il suo trasferimento in Italia, ma il governo D'Alema, che pure inizialmente sembrava dovesse concederglielo, non accordò ad Ocalan l'asilo politico. Com'è andata a finire lo sappiamo, con il suo rapimento in Kenya da parte dei servizi segreti turchi fiancheggiati dal Mossad, e il suo trasferimento in Turchia, dove ancora oggi il leader del PKK sconta l'ergastolo nelle carceri turche.

Dopo Assad quale governo potrebbe sostituirlo per ridare pace e serenità ad una popolazione che tanto ha sofferto?

Per quanto mi riguarda nessuno. Dopo Assad il diluvio universale.

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